Perché l’arte contemporanea è lontana dai contenuti cattolici?
Vivendo in Toscana, non posso fare a meno di notare come l’arte di un tempo fosse piena di contenuti cristiani. In passato la Chiesa promuoveva l’arte e la cultura (pittura, poesia, musica, letteratura ) e viceversa l’arte svolgeva un grande servizio di sostegno alla fede. Dante, Giotto, Bach o Manzoni non sarebbero esistiti fuori dalla tradizione cristiana. Oggi invece l’arte contemporanea, quella in cui siamo immersi e sono immersi i nostri giovani, raramente trasmette contenuti cristiani, più spesso diseduca e allontana dalla fede. Come mai? Esiste ancora un teatro cattolico? Cinema, musica, poesia cattolici? Non sarebbe utile sostenerli e valorizzarli?
Perché? Semplificando un discorso che sarebbe molto complesso si può ipotizzare una risposta nel fatto che oggi non vi è più una società cristiana come in passato. In una società cristiana l’arte esprimeva, per così dire, con naturalezza il sentire e il bisogno comune e risultava una via privilegiata per la ricerca di Dio. D’altra parte era naturale che in una società cristiana in cui comunemente si stimava la fede come valore supremo si investissero, non solo da parte della Chiesa, ingenti quantità di denaro per commissionare agli artisti opere di grande valore ispirate alla fede. Un’ulteriore spiegazione dello iato prodottosi fra l’arte e la fede cristiana è da individuarsi probabilmente nella crisi dei canoni estetici, e dell’arte figurativa tradizionalmente intesa, prodottasi nel novecento e a tutt’oggi non risolta. Anche prescindendo da ogni valutazione di natura estetica si deve prendere atto che un’arte concettuale e non figurativa crea difficoltà obiettive per la committenza ecclesiastica perché la fede cristiana è narrativa, si fonda sul racconto, e la Chiesa ha normalmente utilizzato le immagini dell’arte per illustrare la storia della salvezza.
Il discorso deve essere applicato soprattutto alla pittura e alla scultura, arti iconografiche per eccellenza, che in passato hanno molto contribuito alla trasmissione della fede. Per altre arti, come scrittura, musica, teatro e cinema la questione si pone diversamente: non mancano probabilmente in questi campi incontri tra fede ed espressione artistica ben riusciti ma che, per ragioni commerciali e culturali, si collocano per lo più al di fuori dei grandi circuiti distributivi e, quindi dalla fruizione del grande pubblico, in particolare dei giovani. Un discorso ancora a parte andrebbe fatto per l’architettura, arte di cui la comunità cristiana ha abbondantemente usufruito nel ventesimo secolo per la costruzione di nuove chiese e intorno alla quale non sono mancate critiche e accesi dibattiti.
D’altra parte la Chiesa ha mostrato di percepire con sofferenza il problema del suo allontanamento dal mondo degli artisti e ha più volte auspicato una ricomposizione della frattura. È notevole la lettera indirizzata agli artisti nel 1999 da Giovanni Paolo II, in cui si diceva fra l’altro che: «persino quando scruta le profondità più oscure dell’anima o gli aspetti più sconvolgenti del male, l’artista si fa in qualche modo voce dell’universale attesa di redenzione».
E davvero col cuore in mano, già nel 1964, aveva parlato Paolo VI in una omelia rivolta agli artisti: «Noi abbiamo bisogno di voi. Il Nostro ministero ha bisogno della vostra collaborazione [ ] bisogna ristabilire l’amicizia tra la Chiesa e gli artisti». Il Papa allora non risparmiava parole critiche all’arte contemporanea: «Qualche volta dimenticate il canone fondamentale della vostra consacrazione all’espressione; non si sa cosa dite, non lo sapete tante volte anche voi: ne segue un linguaggio di Babele, di confusione. E allora dove è l’arte?» Ma Paolo VI ammetteva anche: «riconosciamo che anche noi vi abbiamo fatto un po’ tribolare. Vi abbiamo fatto tribolare, perché vi abbiamo imposto come canone primo la imitazione, a voi che siete creatori, sempre vivaci, zampillanti di mille idee e di mille novità. Noi – vi si diceva – abbiamo questo stile, bisogna adeguarvisi; noi abbiamo questa tradizione, e bisogna esservi fedeli; noi abbiamo questi maestri, e bisogna seguirli; noi abbiamo questi canoni, e non v’è via di uscita. Vi abbiamo talvolta messo una cappa di piombo addosso, possiamo dirlo; perdonateci! E poi vi abbiamo abbandonato anche noi. Non vi abbiamo spiegato le nostre cose, non vi abbiamo introdotti nella cella segreta, dove i misteri di Dio fanno balzare il cuore dell’uomo di gioia, di speranza, di letizia, di ebbrezza. Non vi abbiamo avuti allievi, amici, conversatori; perciò voi non ci avete conosciuto».
Concludeva quindi il Papa: «Rifacciamo la pace? quest’oggi? qui? Vogliamo ritornare amici? Il Papa ridiventa ancora l’amico degli artisti? Volete dei suggerimenti, dei mezzi pratici? Ma questi non entrano adesso nel calcolo. Restino ora i sentimenti. Noi dobbiamo ritornare alleati. Noi dobbiamo domandare a voi tutte le possibilità che il Signore vi ha donato, e, quindi, nell’ambito della funzionalità e della finalità, che affratellano l’arte al culto di Dio, noi dobbiamo lasciare alle vostre voci il canto libero e potente, di cui siete capaci».