Laicità non significa relativismo
Il tema della laicità è fondamentale per il nostro vivere da cittadini dello Stato, sia da credenti che da non credenti. In Italia, più che in altri paesi, il problema è sempre stato causa di traumi e scontri ideologici e religiosi, di fratture politiche, culturali. Sembra impossibile trovare alla laicità un significato che possa essere condiviso. Generalmente anche da parte cattolica si afferma che lo stato laico non può essere identificato con morali specifiche per non cadere nello stato etico e che quindi deve garantire a tutti la piena libertà religiosa. È altrettanto condivisibile affermare che laicità non è indifferenza alla morale umana. Vi sono infatti criteri morali comuni che riguardano la persona umana e cioè la dignità, i diritti, la giustizia sociale, l’integrità fisica etc. che si possono sintetizzare credo nella «Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo» di cui lo scorso anno abbiamo celebrato i 60 anni.
Però a questo punto mi sorgono dei dubbi relativi proprio all’estensione ed alla interpretazione di questa morale comune che mi sembra da parte cattolica si voglia far coincidere con quella che si definisce «legge naturale». Siamo sicuri che i principi morali, certo legittimi e fondati cristianamente, che difendono la tutela degli embrioni, l’indissolubilità del matrimonio, che stabiliscono limiti invalicabili nel campo dell’accanimento terapeutico si possano trasferire nell’ambito legislativo e così tutto ciò che mette in discussione la famiglia fondata sul matrimonio come convivenze, unioni omosessuali etc. D’accordo, la legge naturale è immutabile, però cambiano gli strumenti per studiarla, le scienze sociali e biologiche fanno progressi continui e quindi la sua lettura non può non modificarsi nel corso della storia.
L’aggettivo «laico», dalla parola «laòs» popolo, ci viene dalla Bibbia in lingua greca dove viene usato per contrapporre ciò che è destinato all’uso profano a ciò che è destinato al culto di Dio. All’interno del popolo di Dio, perciò, diciamo fedele laico il battezzato che non è destinato al ministero sacerdotale, mentre – trasportandosi nella società civile – laico è chi non si riconosce in una particolare fede o religione. Cosa ben diversa è il laicismo che nega l’apertura dell’uomo alla trascendenza e propugna l’esclusione sistematica della religiosità e delle sue espressioni dalla vita pubblica.
In una società pluralista e multiculturale il terreno di incontro tra coloro che professano una fede e coloro che non la professano può essere soltanto la ragione, ciò che tutti condividiamo come esseri umani. Sotto questo punto di vista il cristianesimo – a differenza di altre fedi e religioni – non trova difficoltà a porre le basi per un dialogo costruttivo perché fa parte del modo di sentire dei cristiani riconoscere il valore della ragione, dono di Dio e segno della divina immagine impressa nell’uomo, e la legittima autonomia delle realtà terrestri, create da Dio con la loro propria consistenza e conoscibili con la luce dell’intelligenza (cfr. Gaudium et spes, 76). La ragione umana – secondo la nostra Tradizione teologica - ha la capacità di conoscere ciò che è bene per l’uomo e, per non essere autodistruttiva, deve ordinare la vita delle persone verso il loro bene autentico. L’incontro con Cristo non si sostituisce né si oppone alla ragione, ma svela al credente un ideale di compiuto di umanità e infonde in lui una energia nuova che lo sospinge verso la sua piena realizzazione.
Un equivoco diffuso deriva dalla sfiducia nella ragione umana e nelle sue possibilità di conoscere che cosa sia veramente bene per l’uomo, per cui il relativismo morale rappresenta una condizione per il convivere pacifico e democratico (cfr. Evangelium vitae, 70). Ovviamente ognuno ha percezioni e convinzioni soggettive e ciascuno vede le situazioni dalla propria prospettiva, interessi e sensibilità, ma ci si deve chiedere se la ragione non abbia in sé la forza ci conoscere che cosa è davvero bene per l’uomo. Non può essere che, per uno stesso malato, sia egualmente bene sospendergli le cure per farlo morire o assisterlo per lunghi anni per rispettare la sua vita fragile o che per una stessa donna sia eticamente indifferente abortire o no. Affermando la sua dottrina sulla legge naturale la Chiesa non fa altro che affermare la possibilità per la ragione umana di conoscere che cosa sia bene per le persone e, quindi, che per una società sia possibile legiferare secondo ragione.
In un recente documento della Commissione Teologica Internazionale sulla legge naturale si afferma che «la legittima e sana laicità dello Stato consiste nella distinzione tra l’ordine soprannaturale della fede teologale e l’ordine politico. Quest’ultimo non si può mai confondere con l’ordine della grazia a cui gli uomini sono chiamati a aderire liberamente. È legato piuttosto all’etica umana universale inscritta nella natura umana» (96). La città secolare ha il compito di procurare alle persone che la compongono ciò che è necessario alla piena realizzazione della loro vita umana e di tutelare alcuni beni fondamentali quali il rispetto della vita umana, il legame fra sessualità e genealogia della persona, il bisogno di comunione, l’apertura all’Assoluto. Sulla base di questi valori colti dalla ragione è possibile il dialogo pluralista, ma non relativista.
Certamente i beni fondamentali sono colti nel contesto della storia umana e la loro percezione è spesso confusa e crupuscolare, così come cangiante e non univoca la loro attuazione attraverso norme e decisioni concrete. A volte la situazione contingente sembra suggerire che sia meglio tollerare un male che non reprimerlo, talvolta sarà possibile elaborare soltanto leggi imperfette dal punto di vista della tutela integrale di tali beni. Qui sta la fatica della comune ricerca della verità e del bene alla quale a pieno diritto i cristiani, forti della loro esperienza di vita, partecipano accanto a tutti gli altri uomini e donne con trasparenza e lealtà.