La benedizione degli animali
In molte chiese c’è l’abitudine, per Sant’Antonio abate, di benedire gli animali. Un’usanza che ha origine contadine: ricordo che una volta venivano benedetti agnelli, vitelli, cavalli e animali d’allevamento. Oggi vengono portati cani e gatti, criceti, persino il pesce rosso. Mi chiedo se ha ancora un senso questo rito, o se non sarebbe il caso di spiegarne meglio il senso: in un tempo in cui l’attenzione verso la natura e il creato sono molto importanti, potrebbe diventare un’occasione di educazione ambientale, che va ben al di là dell’affetto per l’animaletto da appartamento.
Nella fede della Chiesa l’efficacia spirituale delle benedizioni dipende dalla disposizione di chi la riceve e dalla preghiera della Chiesa stessa. Il nuovo Benedizionale del 1984 presenta le benedizioni «come azioni liturgiche che portano i fedeli a lodare Dio e li dispongono a conseguire l’effetto precipuo di sacramenti e a santificare le varie circostanze della vita» (Benedizionale. Premesse generali, n° 14). Bisogna sottolineare come in ogni caso la benedizione della Chiesa abbia sempre di mira l’uomo. Anche quando si benedicono le cose e i luoghi che si riferiscono all’attività umana, sempre però tiene «presenti gli uomini che usano quelle determinate cose e operano in quei determinati luoghi. L’uomo infatti, per il quale Dio ha voluto e ha fatto tutto ciò che vi è di buono, è il depositario della sua sapienza e con i riti di benedizione attesta di servirsi delle cose create, in modo che il loro uso lo porti a cercare Dio, ad amare Dio. A servie fedelmente Dio solo» (Benedizionale. Premesse generali, n° 12).
Aver sottolineato il significato proprio di ogni benedizione ci permette di ritornare alla questione che si era posta la lettrice in modo specifico. La benedizione degli animali, che la tradizione popolare aveva collegato con la festa liturgica del monaco Antonio, era sorta proprio in sintonia che questa prospettiva di fede. Bisogna dire che ancora oggi nelle campagne la tradizione antica è rimasta viva; la fede contadina continua a rivolgersi a Dio perché benedica e protegga quegli animali per mezzo dei quali l’uomo si procura il sostentamento necessario, nella fatica di ogni giorno. Nella nostra società cittadina e moderna sono profondamente mutati i parametri e i rapporti. E probabilmente resta sempre un sottofondo di fede nel desiderio di portare a benedire gli animali cosiddetti di compagnia. In questo caso, non dovremmo accontentarci della semplice benedizione, ma una catechesi sarebbe opportuna, proprio perché è mutato il contesto culturale nel quale la fede è chiamata a incarnarsi. La direzione indicata dalla lettrice potrebbe essere una buona strada da percorrere. In fondo, secondo il progetto di Dio, l’uomo è stato collocato nel mondo perché ne sia il custode e quasi il suo luogotenente: «Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse» (Gn 2,15). In questo compito l’uomo si trova accanto compagni di strada che condividono con lui l’alito di vita, come lui sono esseri viventi, ai quali ha imposto un nome. Resta vero che solo nella creazione della donna l’uomo trova l’aiuto che gli corrisponde (cf Gn 2,18-24). È sull’umanità che scende la benedizione di Dio, sull’essere umano creato a immagine di Dio, creato maschio e femmina. Questa basilare gerarchia di valori non dovrebbe mai essere dimenticata.