Quale deve essere, secondo la Bibbia, il rapporto tra l’uomo e gli animali?
«Il povero non aveva nulla, se non una sola pecorella piccina che egli aveva comperato e allevato; essa gli era cresciuta in casa insieme con i figli, mangiando il suo pane, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno; era per lui come una figlia» (2 Sam 12,3). Il rapporto fra gli animali e l’uomo è sempre stato asimmetrico. Nel passato lo sfruttamento degli animali era quasi feroce. Oggi si potrebbe dire che le parti si sono invertite ma forse non del tutto. In modo totalmente diverso ma gli animali sono sempre succubi, dominati fosse solo da un ricatto affettivo, disposti per amore ad annullare la loro natura per il «padrone». Quanti esempi di dedizione incondizionata, quanta fedeltà che si rivela e prosegue anche dopo la morte del padrone stesso.
Certo i supermercati abbondano di scatolette e cibi prelibati, la pubblicità televisiva ci fa vedere pietanze succulente servite su piatti d’argento (anche in tempi di crisi e povertà) ma questa è solo accattivante e assurda pubblicità per adescare sprovveduti consumatori.
Il rapporto vero fra l’uomo e l’animale come è posto nella Bibbia a partire dalla creazione? L’alleanza che Dio rinnova dopo il diluvio include anche tutti gli animali della terra (Gen 9,10). Se «tutta le creazione geme le doglie del parto» (Rm. 8,9-22) e attende di essere redenta per il Regno di Dio come considerare il mondo animale? Che tipo di redenzione (Paradiso) aspetta anche a loro?
Il lettore si pone in questa seconda prospettiva e ci risparmia molto lavoro.
Una volta chiesero a Gesù di pronunciarsi sul divorzio praticato in Israele, e lui per risolvere la faccenda si rifece a Genesi, e a quella che era l’intenzione divina sull’uomo (Mc.10,1-12). Bene, torniamo anche noi a Genesi 2,18-24, per capire che cosa Dio intendeva che fossero gli animali. Dio, si legge, vide l’uomo solo, e come prima compagnia gli creò gli animali. Ma l’uomo non vi si riconobbe. Anzi imponendo loro i nomi, secondo le categorie antiche, lì si vuol dire che l’uomo è diverso, superiore, e «quasi» creatore del senso che gli animali debbono avere nell’habitat umano. Ecco il nocciolo della questione: l’animale è creato per esser d’aiuto all’uomo, per il suo vivere mondano, ma è un livello diverso, inferiore, subalterno. Tant’è che dopo il test dell’imposizione dei nomi, sia Dio riconosce che l’uomo è ancora solo, sia l’uomo stesso «non trovò [in essi] un aiuto che gli fosse simile» (Ibi,v. 20).
Fatta questa premessa cerchiamo una risposta. Che gli animali abbiano una redenzione o vadano in qualche paradiso, e come sia questo nuovo mondo verso il quale la creazione geme, lo lasciamo alle capacità interpretative e alla immaginazione dei teologi, dal momento che è già difficile dire che cosa succederà all’uomo. Io farei una considerazione più aderente ai fatti. Gesù nella sua opera redentiva si è preoccupato solo degli uomini, ha valorizzato tutti: bambini, donne, malati, sani, lebbrosi e indemoniati, addirittura morti. Non altre cose. Inoltre, l’unico strumento di salvezza e di redenzione che abbia ritenuto valido è stato l’amore reciproco, che è un atto puramente umano. Si noti: non ha ritenuto capaci di salvezza: cosmologie, scienze, tecniche, medicine e quant’altro, tant’è che non ha scritto alcun trattato medico, lui che si riteneva «Il Salvatore». E neppure ha indicato qualche animale valevole di redenzione: la lettera agli Ebrei dice che è stoltezza pensare che il sangue di capri o di tori possa salvare; e San Paolo l’estende anche a leggi e prassi (Rom. e Gal.). Gesù infine non ha dato la sua vita per gli animali, ma solo per gli uomini (Gv.10,10). Insomma se gli animali avessero avuto parte nell’opera redentrice di Gesù Cristo dovevano in qualche modo essere presenti e presi in considerazione. Ma non lo sono stati!
Tuttavia non si può pensare che essi siano solo cose come lo sono i sassi, perché essi partecipano alla vita umana, e da sempre sono stati umili servitori dell’uomo sia per il sostentamento sia per il lavoro, addirittura per il gioco. E proprio per questo loro ruolo devono essere tenuti in debito rispetto. Come la casa va tenuta bene e curata non per se stessa, ma perché è il nostro habitat, così, e a maggior ragione, gli animali tutti sono degni di attenzione e di cura perché ci permettono di vivere al meglio, come mostra Noè che si preoccupa di salvarli. Ma sono d’accordo con il lettore: non esageriamo, debbono stare al loro posto di servitori. La prima occupazione di ogni uomo è l’amore reciproco, cioè la cura verso gli altri uomini: questi e solo questi sono degni di amore, attenzione, preoccupazione, e Gesù dice fino a sacrificare la propria vita, amici o nemici che siano.
L’attaccamento odierno agli animali forse è dovuto al fatto che gli uomini, costretti dal sistema di vita di oggi, si sentono soli e isolati: esseri viventi in deserti di affetti, sentimenti e parole. E allora cercano di spezzare il cerchio della loro solitudine grazie agli animali, i quali anche contro la loro stessa natura, si prestano – ancora – nel loro umile servizio per l’uomo. Dunque un grande ruolo hanno avuto e svolgono ancor oggi gli animali! Per questo loro servizio, penso anch’io che meriterebbero, almeno nel momento ultimo della storia dell’uomo e del mondo, prima del gran giudizio, che Dio si ricordi non solo di tutti gli uomini, ma anche, per lo meno, di quegli animali che in quel momento fossero viventi, se vi sarà questa nuova creazione capace di accogliere entrambi, uomini e animali, in una forma di vita per tutti più consona, dove il bambino potrà giocare impunemente nel covo di serpenti velenosi, come dice Isaia.