«Perché Dio permette la tentazione?»
Ci è capitato, parlando con amici di cose religiose, di porci la domanda: perchè Dio permette la tentazione? Sarebbe più semplice, ci è venuto da pensare, se Dio ci ponesse nella condizione di non essere più attratti dal peccato. Invece così non è, e anche i grandi santi hanno vissuto nella loro vita l’esperienza della tentazione. Qual è il motivo per cui Dio permette ciò?
Lorenzo Caselli
Chiamato a scegliere definitivamente e liberamente Dio, nell’esercizio di questa libertà l’uomo tende verso di Lui attraverso un cammino, all’interno del quale è posto fra il bene e il male. Qui trova spazio il mistero della tentazione, che non dovrebbe essere vista come un trabocchetto, ma la strada concreta per giungere alla pienezza dell’amicizia con Dio. Dio ci ha creato liberi per amare, perché solo nell’amore ricambiato liberamente si ha la perfezione dell’amore: la comunione d’amore fra gli uomini è un riflesso, una somiglianza della stessa misteriosa comunione che unisce le Persone divine, del Padre, del Figlio e dello Spirito santo (cf Catechismo della Chiesa Cattolica 1701).
All’interno di questo quadro di riferimento, la fede inserisce la stessa esperienza umana del Figlio: Gesù è stato tentato. La narrazione evangelica inserisce agli inizi della sua missione, dopo il battesimo nel fiume Giordano, l’episodio delle tentazioni, raccogliendo in sintesi questa esperienza umana, che ha accompagnato Gesù nel suo cammino verso la croce. Il racconto dice che Gesù ha vinto la tentazione in modo umano, confidando totalmente nella Parola di Dio. E l’obbedienza alla volontà del Padre accompagnerà sempre la sua storia, perché ne costituisce la vita intima: «Il mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato e compiere la sua opera» (Gv 4,34). Questa lotta di Gesù contro il male e la sua vittoria contro il «diavolo» (detto anche «il tentatore» o «satana») sono anche il nostro cammino personale (nel brano di Mt 4,1-10 troviamo tutti e tre i termini, mentre ricordiamo che «satana» nella sua etimologia indica quanto è d’intralcio per far cadere). Confidando nella vittoria di Gesù, suo Signore, il cristiano prega sempre perché il Padre «non lo induca in tentazione». Di per sé, il termine greco della richiesta del «Padre nostro» dovrebbe essere tradotto con una perifrasi simile a «non lasciarci soccombere alla tentazione». Nella tensione fra la via del bene e quella del male, il credente implora Dio perché non gli lasci prendere la via che conduce al peccato e alla morte. La nostra richiesta prima di tutto dovrebbe tendere a prendere decisioni con il cuore in una docilità verso lo Spirito santo. Per alimentare questa docilità alle mozioni dello Spirito e alla verità dell’amore abbiamo bisogno di preghiera e della grazia dei sacramenti. La tentazione, quindi, dovrebbe essere vista come una realtà legata al male e che conduce ad esso, perché lo presenta sotto una luce piacevole, che ne maschera in modo menzognero la malizia. Di fatto la tentazione esiste e contro di essa siamo chiamati a lottare per raggiungere il fine di una comunione profonda e totale con Dio, che vuole vivere un rapporto libero d’amore con ogni uomo. Per Origene, teologo greco del III secolo, la «tentazione» svela i doni che abbiamo ricevuto e la misura del nostro amore per Dio. La presenta, quindi sotto una luce che sembrerebbe positiva. Senza negare questo aspetto della semplice prova, tuttavia, nei testi del Nuovo Testamento il termine «tentazione» ha spesso una sfumatura negativa, simile a quella connessa alla nostra «seduzione». Non si parla, quindi, di una prova neutra, quanto di una prova verso il male e che viene presentata già nel suo esito sfavorevole.
Per questo nella preghiera che Gesù ci ha lasciato troviamo la richiesta al Padre perché impedisca che cadiamo in preda della sua malizia. Al termine di questa breve riflessione può tornare in mente la domanda iniziale: non sarebbe meglio se Dio ci evitasse le tentazioni? Sarebbe tutto molto più semplice. Ma siamo chiamati a cercare di comprendere la realtà alla luce della fede, non dobbiamo immaginare un mondo diverso. La risposta, allora, non può essere che un ritorno al principio del progetto divino. La grandezza del disegno di Dio sull’uomo chiede che l’effusione del suo amore sia ricambiata in modo totalmente libero. Potremmo dire, con il linguaggio allusivo e tipico di una narrazione drammatica, che per questo valore altissimo Dio corre il rischio che l’uomo venga meno alle richieste del suo amore, corre il rischio che sia sedotto dalla tentazione. Nella fede, però, attraverso la grazia del Signore nostro Gesù Cristo, tutti noi siamo resi capaci di vincere questa lotta contro il male: sta qui la grande dignità dell’uomo, nella sua risposta libera all’amore di Dio che trasforma.