Che differenza c’è tra «peccato» e «colpa»?
Vorrei chiedere la differenza per noi cristiani fra il senso del peccato e il senso di colpa.
Roberto Rossi
Da qui allargherei il discorso, che si fa interessante, alla vita odierna. Il lettore sottolinea «per noi cristiani» e fa bene, perché in una cultura atea e non religiosa, come quella che viviamo, molte sono le critiche che piovono su quei due termini.
Si pensi: se il peccato è una mancanza contro Dio, e Dio non esiste, evidentemente non ha senso il peccato. E così, se le persone non hanno tra loro responsabilità, un qualche debitum naturale, o dovere reciproco, ma solo una relazione di convenzione, come sostiene l’intellighezia culturale, è chiaro che potrà esserci errore, ma non colpa. Si spiega così l’impegno, di molta parte di quelli che contano del nostro mondo, nel tentativo di eliminare i sensi di colpa e di peccato, come aspetti di una cultura primitiva, grazie ai quali le classi al potere tenevano assoggettate le genti.
Il problema come si capisce è delicato, perché il peccato e la colpa, e la percezione coscienziale di essi non possono essere legati solo a una «fede», altrimenti chi non crede non dovrebbe avere manifestazioni del genere. D’altra parte è anche evidente che essendo aspetti legati alla coscienza di ciascuno, la coscienza può anche essere indifferente, sviata, alterata, e perciò realmente insensibile al peccato e alla colpa.
Il problema insomma sta nel tipo di educazione che diamo all’uomo, ed è certo che questo influisce sulla coscienza umana tale da manipolare i sentimenti. Per es. se un bambino non sente l’amore vivo, profondo, intimo dei genitori difficilmente poi da grande potrà capire il senso dell’amore, avrà esplosioni passionali, istintive, ma non potrà controllarsi perché non ne capisce il valore umano che sta dietro ad essi, come si vede nelle tante tragedie dell’oggi. In altre parole, il rapporto tra persone umane è una naturale corresponsabilità o una convenzione stipulata tra due contraenti? Il primo caso è quanto affermano i cristiani, e perciò ogni qual volta s’infrange il rapporto umano si dà peccato e colpa, perché s’infrange una naturale responsabilità verso l’altro. Il secondo caso è quanto afferma la cultura atea, per cui violando il rapporto stipulato si dà soltanto una contravvenzione, che una volta pagata non lascia strascichi. Su ciò si può anche discutere, ma i rapporti umani sono istituiti in una naturale coappartenenza delle persone tra loro, che fonda la responsabilità interpersonale, e questo è visibile nel fatto che ogni uomo per conoscere se stesso (ripeto: per conoscere se stesso) necessita di conoscere l’altro, di sapere chi è l’altro. E per mostrarlo mi rifaccio al comunissimo esempio della generazione: un uomo mai potrebbe sapere di esser capace di «paternità» se non glielo rivelasse una donna, e viceversa, una donna mai potrebbe sapere di poter esser «madre» se non glielo rivelasse un uomo.
A me sembra indiscutibile la reciproca appartenenza delle due persone, e dunque la reciproca responsabilità naturale nel doversi correlare. Se questo è vero, allora i concetti di peccato e di colpa, di senso di colpa e di peccato, hanno la loro origine non su culture deviate e alienate, ma sull’umano rapporto interpersonale. Aspetto questo che è estensibile anche a Dio, col quale non abbiamo solo un vago rapporto creaturale, ma una correlazione vitale senza la quale o non esistiamo o (per il cristianesimo) siamo nell’inferno. Infatti la vita che Gesù ha promesso non è un contratto con Dio, ma la partecipazione alla stessa vita divina, e perciò il peccato è una rinuncia al dono più grande che Dio può farci: vivere della sua vita. Ed è anche una colpa, perché rinunciamo coscientemente e responsabilmente alla nostra personale e comunitaria pienezza e perfezione d’essere.