Dossier
La vita spirituale del prete: la relazione di Enzo Bianchi
Cercherò di essere soltanto eco della Parola di Dio e una voce di ciò che ho a lungo ascoltato dal vissuto ecclesiale e presbiterale, e condividerò con voi alcuni pensieri che sulla base della mia esperienza giudico utili, se non addirittura urgenti, per una vita presbiterale vissuta nello Spirito santo e in fedeltà all’Evangelo.
C’è un’espressione nel discorso di Paolo ai vescovi-presbiteri di Efeso che rappresenta un basilare orientamento di vita per voi. Paolo, salutando quei suoi collaboratori nel ministero, dice: «Io vi affido a Dio e alla Parola della sua grazia» (paratíthemai hymâs tô theô kaì tô lógo tês cháritos autoû: At 20,32). Nel suo testamento apostolico, Paolo non affida la Parola ai ministri, ma affida i ministri alla Parola! I destinatari del testamento dell’Apostolo hanno la missione di predicare, di diffondere, di tenere viva la Parola in mezzo al gregge, di affidarla alla Chiesa, ma – cosa sorprendente! – qui Paolo affida i ministri alla Parola. Prima che la Parola sia loro affidata, sono essi stessi affidati alla Parola; prima di essere portatori della Parola, essi stessi sono portati dalla Parola di Dio! Sì, la Parola è potente ed efficace, ha un’energia perché è realtà viva e operante (Eb 4,12), ha il potere di salvare la vita (Gc 1,21), di edificare e di concedere l’eredità con tutti i santi (At 20,32), di comunicare la sapienza che porta alla salvezza (2Tm 3,15-17) e, come Evangelo, è potenza di Dio (Rm 1,16).
Vi è un bel testo contenuto nella Pastores dabo vobis che riguarda proprio il rapporto fra ministero e Parola di Dio: «Il sacerdote deve essere il primo credente alla Parola, nella piena consapevolezza che le parole del suo ministero non sono sue, ma di Colui che lo ha mandato. Di questa Parola egli non è padrone: è servo. Di questa Parola egli non è unico possessore: è debitore nei riguardi del popolo di Dio. Proprio perché evangelizza e perché possa evangelizzare, il sacerdote, come la Chiesa, deve crescere nella coscienza del suo permanente bisogno di essere evangelizzato» (PDV 26). E al numero 47 lo stesso documento recita: «Elemento essenziale della formazione al ministero presbiterale è la lettura meditata e orante della Parola di Dio (lectio divina), è l’ascolto umile e pieno di amore di Colui che parla». Sì, è l’Evangelo la vostra forza, è l’Evangelo la fonte del vostro presiedere le assemblee del Signore, è l’Evangelo ciò che conferisce exousía alla vostra predicazione! Senza la Parola di Dio voi non siete nulla nella Chiesa, senza la Parola di Dio non avete nulla da dire alla Chiesa, senza la Parola di Dio tutto il vostro impegno non gioverebbe a nulla! Gesù ha detto: «Senza di me voi non potete fare nulla» (Gv 15,5), ma Lui è innanzitutto il Verbo, la Parola del Padre all’umanità. Dal vostro rapporto con la Parola di Dio dipende dunque la vostra identità, l’efficacia del vostro ministero, il tesoro da voi portato in vasi di creta (cf. 2Cor 4,7).
Per questo nella vita del presbitero la liturgia deve assolutamente tenere il posto centrale: alla liturgia il presbitero si prepara con la Parola ascoltata nella lectio divina, ma anche disponendosi ad evangelizzare la Parola ascoltata alla sua comunità; alla liturgia si prepara cercando di comprendere l’eucologia che offre il messale, si prepara come all’azione per eccellenza di tutta la comunità cristiana da lui presieduta. Ci si deve allora chiedere: c’è conoscenza, c’è comprensione delle nuove preghiere eucaristiche donate alle comunità dalla riforma liturgica? C’è lo sforzo e l’attenzione a far sì che la lex orandi sia lex credendi per i fedeli? C’è la capacità mistagogica che porterebbe i fedeli a una vera partecipazione e a una vera conoscenza della liturgia? Sì, è questione di centralità: e se questa centralità liturgica non è reale nella vita del presbitero, allora tutto il suo ministero ne risente ed è svuotato. Solo quando viene celebrata con autentica e rinnovata fede, la liturgia trasforma la vita, celebra la vita e dà forma, plasma la vita del presbitero, che proprio nella presidenza eucaristica trova il fondamento al ministero di presidenza della comunità. Il presbitero è dall’Eucaristia e per l’Eucaristia: in essa lo Spirito santifica la Chiesa, ma santifica anche il presbitero. Non dimenticate che anche quando celebrate le più umili eucaristie, magari in paesini sperduti o in anonime situazioni urbane con poche persone, sovente anziane, se voi celebrate con la tensione dovuta e con serietà e convinzione, spezzando il pane della Parola e partecipando all’unico pane eucaristico, voi edificate la Chiesa e partecipate all’azione del Pastore dei pastori, Gesù Cristo! Lo ribadisco: voi non dovete lasciare che la vostra sacramentalità sia ridotta a mera funzionalità: questa è l’epoca del progresso della razionalizzazione, del recul du sens (P. Ricoeur), e neppure voi siete esenti da questa tentazione, ma il funzionalismo è una nuova forma di clericalismo. Sì, la leitourghía, azione e celebrazione sacramentale della grazia, sia davvero al cuore del vostro ministero. Voi annunciatori dovete sempre comprendere la vostra missione come relativa alle altre due che precedono la vostra: la missione del Figlio e la missione dello Spirito, ed è dunque attraverso la preghiera e la liturgia celebrata che voi realizzate la vostra missione giorno dopo giorno. È nella liturgia che voi accogliete le parole per voi e le parole da predicare, è nella liturgia che chiedete lo Spirito santo per voi e per coloro verso cui andate, è nella liturgia che riconoscete l’opera compiuta dallo Spirito santo in voi e nelle vostre comunità.
Ma oggi, a mio avviso, non è solo il problema del ministero sovraccarico di impegni e incombenze che grava sulla vita dei presbiteri: è anche e soprattutto questione di una cattiva qualità di vita umana. Si pensi semplicemente ai rapporti e ai bisogni primari che un uomo vive: la casa, il cibo, il vestito. La casa del presbitero sovente è inospitale, è uno spazio in cui non ci si reca volentieri, che non «canta la vita». È così che, non sentendosi a casa propria, molti preti trovano sostitutivi frequentando assiduamente famiglie o gruppi. Il cibo, poi, in quale contesto è assunto? Se il mangiare non è solo sostentamento, ma occasione di cultura, oggi il presbitero può dirsi sempre capace di viverlo con una logica cristiana che è innanzitutto eucaristica? E che dire del vestito? Nei primi secoli cristiani non vi era alcun vestito distintivo del clero: questo si è imposto solamente nel XVII secolo con la talare intesa come segno di consacrazione a Dio. Ma il vestito è il primo linguaggio con cui una persona comunica ciò che è. Per questo Gerolamo suggeriva ai presbiteri di fuggire l’eleganza e la ricercatezza, ma anche la sciatteria e la negligenza. Lo si sappia o no, questi tre ambiti sono un riflesso di chi è il presbitero, e nello stesso tempo lo influenzano: a partire da questi si rivelano la sua libertà e la sua maturità. Sì, oggi, che non si fa più affidamento sulla funzione, ma sulla persona, l’autorevolezza del presbitero è ancora più necessaria ed è legata alla sua statura umana e spirituale. Davanti a Dio e agli uomini niente può rimpiazzare una vita personale autentica! Più che mai si impone che il presbitero coltivi interessi personali intellettuali, letterari, artistici, musicali, a seconda dei doni ricevuti, perché la via cristiana è filocalia, ricerca e contemplazione della bellezza: per mantenersi vivi, desti, interessati alla vita, per rinnovare le proprie convinzioni nel passare degli anni, per combattere la malattia del cinismo e della rassegnazione occorre leggere, andare alle fonti cristiane e culturali, occorre anche sapersi riposare e ricreare con intelligenza. La condizione del presbitero è oggi connotata dalla dispersione, dall’esposizione senza protezione, ma senza una volontà di condurre una vita buona e bella nel senso compiuto del termine ci si espone solo alla dissipazione. Sì, per una buona qualità della vita è importante l’esercizio (ascesi) delle relazioni, dato che la qualità della vita è direttamente legata e connessa alla qualità delle relazioni: fra parroco e viceparroco, fra prete e vescovo, fra preti e laici, e poi con le infinite diverse situazioni personali ed esistenziali che il prete si trova a incontrare. Vigilare su se stesso significa vigilare sulle relazioni, sul comportamento, sul ministero… Più che mai oggi è essenziale un’ascesi della comunicazione. Al rischio della dissipazione si deve aggiungere quello dello stress e della stanchezza, della depressione e della demotivazione. Se uno fa coincidere personalità, riuscita personale, e lavoro pastorale, azione del ministero, allora i fallimenti pastorali diventano fallimento della persona tout court. Occorre anche una comprensione evangelica dell’«efficacia» della Parola, che è sempre dell’ordine di efficacia della «croce».
* Enzo Bianchi è nato a Castel Boglione in Piemonte nel 1943. Dopo gli studi alla Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, nel 1965 si è recato a Bose, una frazione abbandonata del Comune di Magnano sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica. Raggiunto nel 1968 dai primi fratelli e sorelle, ha scritto la regola della comunità. È a tutt’oggi priore della comunità la quale conta ormai una settantina di membri tra fratelli e sorelle di sei diverse nazionalità ed è presente, oltre che a Bose, anche a Gerusalemme, Ostuni e Assisi. Alle assidue collaborazioni giornalistiche (La Stampa, Avvenire, Repubblica, Radiotre) affianca un’intensa attività editoriale: ha pubblicato diversi libri, tradotti in molte lingue, esprimendo una spiritualità abbeverata alle fonti bibliche e alla grande tradizione ecclesiale, ma attenta all’oggi e alla compagnia degli uomini. Tra le sue opere ricordiamo: «Ricominciare» (1991), «Magnificat», «Benedictus», «Nunc dimíttis» (1993), Adamo, dove sei? (1994), Giorno del Signore, giorno dell’uomo (1994), Da forestiero (1995), «Aids malattia e guarigione» (1997), «Come evangelizzare oggi» (1997), «Pregare i Salmi» (1997), «La lettura spirituale della Bibbia» (1998), «Altrimenti. Credere e narrare il Dio dei cristiani» (1998), «Le parole della spiritualità» (1999), «Quale fede» (2002).