Dossier

In Terra Santa sfidando il coprifuoco

dall’inviato ANDREA FAGIOLIIl volo Alitalia Az 810 Roma-Tel Aviv questa volta parte con tre ore di ritardo, costretto per di più, dopo l’«11 settembre», all’inutile scalo di Larnaca, a Cipro.Quando i 140 pellegrini toscani escono dal «Ben Gurion» è giorno pieno. La notte è trascorsa in bianco. Gli addetti del principale aeroporto israeliano hanno accolto il gruppo con una sorpresa: il controllo dei bagagli in arrivo, procedura mai effettuata in precedenza e che richiede un paio d’ore.

Non resta che il tempo di salire subito a Gerusalemme, per la Messa al Sepolcro. «Vedere per credere, cercare per trovare», dice il cardinale Silvano Piovanelli a proposito della visita ai Luoghi santi che deve poi trovare riscontro nella vita di tutti i giorni.

L’impatto con il marmo della Morte e della Resurrezione ridà vigore. I 140 trovano la forza di partecipare alla marcia della pace promossa a Betlemme dai capi religiosi cristiani e musulmani. Si annuncia un cammino verso la Basilica della Natività, ma al momento di partire, il Patriarca latino Michel Sabbah a braccetto del sindaco di Betlemme, Hanna Nasser, il vescovo anglicano, il Patriarca dei melchiti, l’imam musulmano e il nostro Piovanelli prendono la direzione opposta: verso il chek point 300, quello principale di ingresso a Betlemme sulla Hebron Road.Dopo qualche centinaio di metri i soldati israeliani sbarrano la strada una prima volta. C’è un parlottare fitto fitto tra Sabbah e il comandante della pattuglia. Si va avanti. I soldati arretrano. Qualcuno distribuisce fasce da mettere al braccio con la scritta «international observer» e cappellini con «open Jerusalem».

All’altezza della Tomba di Rachele, nei pressi del fortino che la difende, i soldati israeliani dicono che può bastare, da qui non arretreranno. Alcuni di loro sono già appostati su alcune terrazze a tetto. A dire il vero non hanno l’aria minacciosa e c’è chi addirittura finge di puntare il mitra sui manifestanti a tutto beneficio di fotografi e operatori tv. Sabbah pronuncia il suo discorso di pace. Tutto fila liscio. La manifestazione si scioglie. Nella città torna il deserto. Gli abitanti si richiudono nelle loro misere case o in quello che resta. «Siamo come uccelli in gabbia – dicono –: ogni tanto qualcuno apre un cancellino, ma fa anche presto a richiuderlo».

All’imbrunire Betlemme appare sempre più spettrale. I pellegrini toscani raggiungono a piedi la chiesa di Santa Caterina, attigua alla Natività, per il Te Deum di fine anno con i frati francescani.

All’ora di cena, quello che tutti temevano si verifica: il megafono di una jeep militare annuncia il coprifuoco. Durerà tutta la notte e per gran parte della mattina del primo dell’anno impedendo a molti cristiani di partecipare alla Messa parrocchiale per la circostanza presieduta dal cardinale Piovanelli con il vescovo Rodolfo Cetoloni e concelebrata dai sacerdoti toscani presenti e dai frati della Natività con in testa padre Ibrahim Faltas, balzato sulla scena mondiale nei giorni dell’assedio.

Una liturgia intensa e partecipata, in arabo e in italiano, che si conclude con una processione eucaristica attraverso quel chiostro che nella primavera scorsa è stato teatro di guerra. Da lì, infatti, il 2 aprile 2002 quasi duecento palestinesi, dopo aver crivellato la porta d’ingresso, sono transitati per rifugiarsi nella Basilica della Natività poi accerchiata dall’esercito israeliano per trentanove giorni, fino al 10 maggio.

Per un attimo, proprio nella giornata del primo dell’anno tradizionalmente dedicata alla pace, anche il gruppo toscano vive un sussulto quando in cima alla salita della strada che costeggia l’ostello francescano di «Casa Nova» sbucano due autoblindo dell’esercito israeliano. I camerieri sono i primi ad accorgersene. Uno di loro avverte subito padre Ibrahim, seduto a un tavolo lontano dalle finestre. Molti si affacciano incuriositi, ma anche preoccupati. Non sono i potenti tank Merkavà, i carri armati veri e propri come qualcuno pensa, ma il loro aspetto non è per niente tranquillizzante anche perché in mattinata c’è già stata una scaramuccia tra i soldati israeliani e alcuni bambini palestinesi, gli stessi che ti «assalgono» per chiederti uno «iuro» (il suono «euro» nella loro lingua è sconveniente) e gli stessi che ora lanciano sassi contro gli autoblindo che riprendono la strada verso il check point 300. È l’immagine più tradizionale dell’«intifada» palestinese, la «sollevazione» sostenuta dalle pietre, scoppiata per la prima volta nel dicembre 1987 a Jabalya, nella cosiddetta striscia di Gaza, e per la seconda volta nel settembre 2000 dopo la provocatoria passeggiata sulla Spianata delle Moschee, a Gerusalemme, da parte dell’allora leader del Likud (partito conservatore) e ora primo ministro israeliano Ariel Sharon.

La seconda «intifada» è tuttora in corso e sta toccando le punte più tragiche con attentati sanguinari e violente rappresaglie. In 28 mesi ci sono stati quasi tremila morti: oltre duemila da parte palestinese, più di 700 da parte israeliana. In questo clima di terrore Israele si avvia alle urne per le elezioni anticipate, il 28 gennaio, con Sharon ancora una volta in testa ai sondaggi. Ma nessuno vede vie d’uscita. Non le vede il giudice costituzionale Ugo De Siervo, che partecipa assieme alla moglie in forma privata al pellegrinaggio. Non le vede nemmeno il cardinale Carlo Maria Martini, profondo conoscitore della Terra Santa, stabilitosi a Gerusalemme presso la residenza dei gesuiti dove nel pomeriggio di Capodanno incontra una delegazione del gruppo toscano. E non le vede il Nunzio apostolico Pietro Sambi, che insieme al Custode di Terra Santa, padre Giovanni Battistelli, incontra a cena i pellegrini della nostra regione: un’occasione di festa per la consegna al cardinale Piovanelli della «Croce del pellegrino», uno dei principali riconoscimenti della Custodia di Terra Santa.Purtroppo il salone di «Casa Nova» non è in grado di ospitare contemporaneamente gli scout di Betlemme, che a settembre scorso sono venuti in Toscana e dovrebbero tornarci nel giugno prossimo. Ad un incontro «parallelo» partecipano il sindaco di Pratovecchio Angiolo Rossi, l’incaricata regionale dell’organizzazione dell’Agesci, Letizia Beoni, con il marito Alessandro Bartolini della pattuglia formazione capi.

Gli scout di Betlemme sono 250, mentre 26 sono i gruppi presenti in tutta la Palestina. Ai capi che partecipano all’incontro la delegazione toscana consegna mille dollari da parte della diocesi di Fiesole e di Montepulciano per la ripresa dell’attività.

La mattina successiva c’è il tempo di vedere i ragazzi di Betlemme tornare a scuola, ignari che nel primo pomeriggio scatterà nuovamente il coprifuoco.

Momenti di commozione, la stessa mattina, nella «dimenticata» Gerico per il doppio gemellaggio con San Giovanni Valdarno: uno con il Comune, l’altro con le comunità parrocchiali della cittadina valdarnese che si riuniscono intorno alla Basilica di Santa Maria delle Grazia. A Marzo la visita ufficiale del rettore della basilica mariana e del sindaco di San Giovanni nella città palestinese da sempre stretta in una morsa quasi impenetrabile.

Dopo aver risalito il Giordano, visitato Cafarnao e il Monte delle Beatitudini, il pellegrinaggio si conclude a Nazareth, intorno alla grotta dell’Annunciazione, uno dei luoghi più suggestivi della Terra Santa per la sua preziosa documentazione storica e archeologica.

Sia pure di corsa, c’è il tempo di festeggiare il cinquantasettesimo compleanno di padre Rodolfo, come tutti ancora chiamano l’attuale vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza, autentico contagiatore della passione per la Terra Santa. «Volevamo promuovere, d’accordo con Arafat, una conferenza di pace a Betlemme – racconta –, stavamo lavorando per questo, ma poi le cose sono precipitate. Noi stessi abbiamo provato il coprifuoco, l’essere prigionieri in casa, un’esperienza che aggiunge incertezza all’elemento di crisi generale e che destibilizza le famiglie».

«A Betlemme – aggiunge Angiolo Rossi – la disoccuppazione supera ormai l’ottanta per cento, il che significa che nell’enclave della città e nei sobborghi ci sono circa 100 mila persone che vivono di niente».

140 toscani a Betlemme per forzare la pace