Dossier
Silenzio… parlano i cellulari. La «sms generation»
La sms generation (i ragazzi dai 14 ai 19 anni, ma non solo loro) si scambia messaggini a ritmi frenetici. Senza dimenticare le e-mail, la posta elettronica, con il suo campionario di baci e abbracci ([ ]), oppure di soli baci (:*), ma anche di arrabbiature (: – II), depressioni (: [) e persino linguacce (: – p). Tutto all’insegna della velocità e dell’economia degli spazi. E come se non bastasse, accanto agli sms e alle e-mail, il 2003 ci ha portato gli mms, che permettono di inviare foto, suoni e minivideoclip, mentre si annuncia il telefonino per videogiochi con potente console portatile, schermo a colori e riproduttore digitale di musica stereo.
Cambia dunque il linguaggio? C’è un «nuovo modo di comunicare» e quindi una «nuova cultura»? Lo abbiamo chiesto al gesuita padre Nazareno Taddei, uno dei massimi studiosi di comunicazioni di massa, al quale piace molto la terminologia presa a prestito dalla Redemptoris Missio di Giovanni Paolo II, anzi: è proprio lui che da una dozzina d’anni la indica a tutti come un faro nello studio dei mass media. A suo giudizio, quella del Papa è una «terminologia con valore scientifico». Emblematico l’articolo 37 dell’enciclica nel quale si parla di «nuova evangelizzazione» perché esiste una «nuova cultura», che «nasce, prima ancora che dai contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici».
«Ma i nuovi modi di comunicare dei giovani attraverso sms, e-mail, non mi sembra dice Taddei che assurgano a ulteriore nuova cultura. Sono semplicemente, per un aspetto, nuove tecniche (non tecnologie) e soprattutto, per un altro aspetto, sono nuovi alfabeti, cioè nuovi linguaggi. Ma come cultura, essi fanno già parte della nuova cultura (sia pure con nuove modalità di linguaggio), che è la tipica cultura impostata sulla mentalità contornuale (dal concreto all’astratto) al posto di quella concettuale (dall’astratto al concreto). Come la vecchia cultura (concettuale) ha avuto le sue difficoltà al momento critico del passare dall’astratto al concreto (si pensi all’iconoclastia, cioè alla difficoltà di accettare che l’immagine potesse esprimere spiritualità, oppure il rifiuto dell’arte astratta da parte dei figurativi, o della musica dodecafonica da parte dei romantici), così la nuova cultura ha difficoltà al momento critico di passare dal concreto all’astratto. Così si prende la quantità per qualità, quello che appare per quello che è, il potere per servizio; il relativo per l’assoluto, il ciò che piace per il ciò che vale; il sesso per l’amore».
Ci si può chiedere se questa «nuova» mentalità vale o non vale, se si può correggere o migliorare? «La risposta per Taddei è che questa terza epoca della storia della comunicazione è già in atto e si deve accettare non solo forzatamente, bensì con animo aperto e fiducioso, perché anch’essa è piena di valori. Ma certo si dovrà lavorare (e forse penare) per far capire, da una parte, le nuove strade di evangelizzare e di conoscerle bene prima di utilizzarle adeguatamente; e, dall’altra, far capire a chi vive quella nuova cultura i rischi e gli errori che sta affrontando, anche perché ci sono forze organizzate (di business o di politica o di conquista) che sfruttano proprio questo nuovo tipo di mentalità per fare i propri affari. Come si spiega altrimenti che quel magistrale brano del Papa è pressoché ignorato anche in campo cattolico? E chi non mi dice di proposito? Non vorrei poi che si ripetesse quello ch’è avvenuto (mi riferisco al nostro mondo cattolico) all’avvento della tv, quando al suo apparire non si ascoltarono gli esperti che stavano affrontando su basi scientifiche il problema, affermando che era più necessario il buon senso. Non vorrei cioè che di fronte a quelle nuove forme di comunicazione, ci si illudesse di dover inventare nuove teorie e nuove metodiche per far fronte al fenomeno, che, pur importante e complesso, è teoricamente semplice, anche se richiede altro studio ed esperienza per risolverlo sul piano pratico. Ma che sia sulla strada corretta».
Rimane il discorso dell’espressione dei sentimenti, che sembra una delle comunicazioni più diffuse attraverso i «messaggini», soprattutto da parte dei giovanissimi. «A lungo si è pensato che questi strumenti di comunicazione, dal punto di vista sociale, fossero più poveri del faccia a faccia. Ma non è vero, perché utilizzandoli si è comunque trovato il modo di veicolare, sia pure con il linguaggio tipico di questi strumenti, dei contenuti che non sembravano essere veicolabili. Se poi sia più facile dire ti amo con il messaggino che non nel faccia a faccia, questo è possibile, ma non è niente di diverso da quando si mandava l’amico o l’amica a sondare come la pensava in proposito il destinatario o la destinataria della dichiarazione. Insomma, siamo di fronte a strumenti utilizzati per comunicare da parte di soggetti portatori di scopi in un determinato contesto. Quindi non dobbiamo mai dimenticarci conclude Galimberti che ciò che fa la comunicazione è sì lo strumento, ma soprattutto sono gli scopi che abbiamo e in base ai quali ci muoviamo».
Dai messaggini alle e-mail tra pollici blu e cuori pallidi (di Umberto Folena)