Dossier

Silenzio… parlano i cellulari. La «sms generation»

di Andrea FagioliOltre 40 milioni di messaggi al giorno condensati in un limite massimo di 160 caratteri ciascuno. Parole mozze, abbreviazioni, formule alfanumeriche per trasmettere in pillole tutto quello che si vuole dire. Tvb da un capo all’altro dell’Italia, a volte rafforzati da un tvumdb o da un tvtrb per arrivare persino a un tat. Interrogativi: xché, o più semplicemente x’. Risposte approssimative affidate a un +o-.Comunicazioni di appetito: 80 fame. Inviti a non mentire: 16 1 bugia…. Richieste: tel, risp. Indicazioni temporali: dom, pom, stas…

La sms generation (i ragazzi dai 14 ai 19 anni, ma non solo loro) si scambia messaggini a ritmi frenetici. Senza dimenticare le e-mail, la posta elettronica, con il suo campionario di baci e abbracci ([ ]), oppure di soli baci (:*), ma anche di arrabbiature (: – II), depressioni (: [) e persino linguacce (: – p). Tutto all’insegna della velocità e dell’economia degli spazi. E come se non bastasse, accanto agli sms e alle e-mail, il 2003 ci ha portato gli mms, che permettono di inviare foto, suoni e minivideoclip, mentre si annuncia il telefonino per videogiochi con potente console portatile, schermo a colori e riproduttore digitale di musica stereo.

Cambia dunque il linguaggio? C’è un «nuovo modo di comunicare» e quindi una «nuova cultura»? Lo abbiamo chiesto al gesuita padre Nazareno Taddei, uno dei massimi studiosi di comunicazioni di massa, al quale piace molto la terminologia presa a prestito dalla Redemptoris Missio di Giovanni Paolo II, anzi: è proprio lui che da una dozzina d’anni la indica a tutti come un faro nello studio dei mass media. A suo giudizio, quella del Papa è una «terminologia con valore scientifico». Emblematico l’articolo 37 dell’enciclica nel quale si parla di «nuova evangelizzazione» perché esiste una «nuova cultura», che «nasce, prima ancora che dai contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici».

«Ma i nuovi modi di comunicare dei giovani attraverso sms, e-mail, non mi sembra – dice Taddei – che assurgano a ulteriore nuova cultura. Sono semplicemente, per un aspetto, nuove tecniche (non tecnologie) e soprattutto, per un altro aspetto, sono nuovi alfabeti, cioè nuovi linguaggi. Ma come cultura, essi fanno già parte della nuova cultura (sia pure con nuove modalità di linguaggio), che è la tipica cultura impostata sulla mentalità contornuale (dal concreto all’astratto) al posto di quella concettuale (dall’astratto al concreto). Come la vecchia cultura (concettuale) ha avuto le sue difficoltà al momento critico del passare dall’astratto al concreto (si pensi all’iconoclastia, cioè alla difficoltà di accettare che l’immagine potesse esprimere spiritualità, oppure il rifiuto dell’arte astratta da parte dei figurativi, o della musica dodecafonica da parte dei romantici), così la nuova cultura ha difficoltà al momento critico di passare dal concreto all’astratto. Così si prende la quantità per qualità, quello che appare per quello che è, il potere per servizio; il relativo per l’assoluto, il ciò che piace per il ciò che vale; il sesso per l’amore».

Ci si può chiedere se questa «nuova» mentalità vale o non vale, se si può correggere o migliorare? «La risposta – per Taddei – è che questa terza epoca della storia della comunicazione è già in atto e si deve accettare non solo forzatamente, bensì con animo aperto e fiducioso, perché anch’essa è piena di valori. Ma certo si dovrà lavorare (e forse penare) per far capire, da una parte, le nuove strade di evangelizzare e di conoscerle bene prima di utilizzarle adeguatamente; e, dall’altra, far capire a chi vive quella nuova cultura i rischi e gli errori che sta affrontando, anche perché ci sono forze organizzate (di business o di politica o di conquista) che sfruttano proprio questo nuovo tipo di mentalità per fare i propri affari. Come si spiega altrimenti che quel magistrale brano del Papa è pressoché ignorato anche in campo cattolico? E chi non mi dice di proposito? Non vorrei poi che si ripetesse quello ch’è avvenuto (mi riferisco al nostro mondo cattolico) all’avvento della tv, quando al suo apparire non si ascoltarono gli esperti che stavano affrontando su basi scientifiche il problema, affermando che era più necessario il buon senso. Non vorrei cioè che di fronte a quelle nuove forme di comunicazione, ci si illudesse di dover inventare nuove teorie e nuove metodiche per far fronte al fenomeno, che, pur importante e complesso, è teoricamente semplice, anche se richiede altro studio ed esperienza per risolverlo sul piano pratico. Ma che sia sulla strada corretta».

Se dunque i nuovi linguaggi non portano ad una «nuova cultura» nel senso indicato dalla Redemptoris Missio, forse cambiano qualcosa nei rapporti interpersonali, nella vita di gruppo. Il «vecchio» faccia a faccia reale mette in gioco gestualità, distanze, abiti, movimenti… Nel contatto virtuale, invece, gli occhi non parlano più, il sorriso non conta, nessuno si accorgerà se diventi rosso….«Attenti a non estremizzare – avverte Carlo Galimberti, docente di Psicologia sociale all’Università Cattolica –: sbaglia chi pensa che gli sms, le e-mail, internet rappresentino la fine delle relazioni, l’impoverimento dei rapporti, ma sbaglia anche chi dice che non sta cambiando assolutamente niente, che questi strumenti sono fantastici e aiutano ad arricchire il mondo relazionale. Il problema vero è quello dello sviluppo di una cultura d’uso. Dopo di che bisogna fare attenzione ai cosiddetti fenomeni di coda: ovvero al fatto che ogni fenomeno si caratterizza sempre per una certa percentuale di distorsioni nell’uso, per cui – a giudizio di Galimberti – ci saranno sempre alcune situazioni di isolamento, di fuga dalla realtà, di ripiegamento su se stessi. Persone che se non avessero trovato questi strumenti, ne avrebbero trovati comunque altri, perché non è lo strumento in sé che patologizza. Terzo punto, l’importanza della scuola non come luogo di apprendimento all’uso, ma come luogo d’uso di queste tecnologie per la comunicazione. La scuola, del resto, dovrebbe essere uno dei dei luoghi deputati per la formazione alla comunicazione».

Rimane il discorso dell’espressione dei sentimenti, che sembra una delle comunicazioni più diffuse attraverso i «messaggini», soprattutto da parte dei giovanissimi. «A lungo si è pensato che questi strumenti di comunicazione, dal punto di vista sociale, fossero più poveri del faccia a faccia. Ma non è vero, perché utilizzandoli si è comunque trovato il modo di veicolare, sia pure con il linguaggio tipico di questi strumenti, dei contenuti che non sembravano essere veicolabili. Se poi sia più facile dire ti amo con il messaggino che non nel faccia a faccia, questo è possibile, ma non è niente di diverso da quando si mandava l’amico o l’amica a sondare come la pensava in proposito il destinatario o la destinataria della dichiarazione. Insomma, siamo di fronte a strumenti utilizzati per comunicare da parte di soggetti portatori di scopi in un determinato contesto. Quindi non dobbiamo mai dimenticarci – conclude Galimberti – che ciò che fa la comunicazione è sì lo strumento, ma soprattutto sono gli scopi che abbiamo e in base ai quali ci muoviamo».

I giovani e gli smsLucia ha quindici anni, studia, e sta vivendo in pieno la rivoluzione dovuta alle nuove tecnologie: pc, e-mail, chat line e cellulare. Anche lei, come i suoi coetanei, è rimasta stregata dal fenomeno dei messaggini o sms che stanno modificando il modo classico di comunicare. «Ne mando almeno cinquanta al giorno – confessa – soprattutto ai ragazzi, meno alle amiche. Non oso pensare a quanti ne invierò quando avrò il ragazzo». Lucia è una dei numerosi adolescenti che hanno raccontato a Toscanaoggi il loro rapporto con il cellulare. Dalla nostra indagine effettuata fra un gruppo di ragazzi, tutti studenti, dai 15 ai 18 anni, è emerso che è molto variabile il numero di e-mail che vengono inviati ogni giorno: da 2 a 60, prevalentemente all’altro sesso, in particolare agli amici. Con i messaggini si «fissano appuntamenti, si spettegola, si parla di cosa è successo durante il giorno, si chiedono e si danno consigli, si litiga, si fanno domande, si scambiano sentimenti affettuosi» ma soprattutto si comunica «ciò che si pensa e quello che non si riesce a dire in altro modo, vuoi a faccia, vuoi per telefono». Quando poi il destinatario dell’sms è il proprio ragazzo o ragazza il contenuto dei messaggi diventa «affare privato e molto molto personale». «Sono affari nostri», insomma, ci hanno risposto i nostri interlocutori. Alla domanda: «scrivete in modo corrente o usate un gergo o una simbologia particolare, o addirittura dei disegnini?», i nostri ragazzi hanno risposto all’unisono: «sì ai simboli ma solo a quelli più frequenti – come cmq per comunque, tvb per ti voglio bene, xchè per perché – no ai disegnini». C’è anche chi scrive i messaggi in modo corrente, magari abbreviando le parole «per fare più veloce e risparmiare tempo e spazio». Ma qual è il vero motivo, al di là, della moda, per cui si preferisce inviare sms anziché parlarsi, di persona o per telefono? C’è qualcosa che «intriga» maggiormente in questa forma di comunicazione? «La verità – affermano in molti – è che gli sms sono l’unico modo per non farsi scoprire dai professori e tutto questo è veramente ganzo». «Per quanto mi riguarda – è il parere di Carlo – è che mi riesce molto difficile parlare a voce, anche se negli sms non trovo niente di intrigante». Secondo altri, «è una cosa pratica e si spende meno che a telefonare anche se gli sms sono un sistema un po’ freddino». Semmai i messaggini aiutano «perché puoi affrontare qualsiasi problema in quanto non c’è contatto con lo sguardo». Quello che intriga può essere forse «l’interpretazione libera che si può dare a frasi o parole non chiare». Ma anche per il fenomeno degli sms esiste l’altra faccia della medaglia: il costo. Quanto si spende in fondo al mese per il cellulare e in particolare per gli sms? Si va da quindici a cinquanta euro. «Il cellulare io me lo pago da sola – spiega Chiara – dunque non ho una regola fissa, dipende dai mesi». C’è chi è riuscito con un po’ di buona volontà a «spendere al massimo 10 euro» mentre c’è chi spende molto, forse troppo, ma meglio non precisare altrimenti i miei genitori…».L.P. Siglesms = short messagge system, ovvero i cosiddetti «messaggini» inviabili tramite telefoni cellularisms generation = i ragazzi dai 14 ai 19 annimms = multimedia message service, che permettono di inviare foto, suoni e minivideoclip tra chi possiede cellulari Gprs e UmtsGprs = General packet radio serviceUmts = Universal mobile telecomunications systeme-mail = electronic mail (posta elettronica) Numeri40 milioni = il numero di messaggi ogni giorno inviati in Italia160 = il numero massimo di caratteri utilizzabili per un «messaggino» Abbreviazionitvb = ti voglio benetvumdb = ti voglio un mondo di benetvtrb = ti voglio troppo benetat = ti amo tantocpt = capitoxché = perchéx’ = perché+o- = più o meno80 fame = ho tanta fame16 1 bugia = se dici una bugiar8 = rottoc6 = ci sei3no = trenotel = telefonamirisp = rispondimidom = domanipom = pomeriggiostas = stasera EmoticonsSi chiamano così, «emoticons» o «smiley», e si realizzano con la tastiera del computer, ma anche del telefonino. Sono una sorta di faccette che andrebbero però viste ruotate di 90 gradi per essere immediatamente comprensibili. Esprimono in genere sentimenti o stati d’animo.8 – ] = innamorato: – II = arrabbiato: [ = depresso: – ( = triste:—-) = bugiardo%-) = ubriaco: – I = sorrisino[ ] = baci e abbracci[] = abbracci: – * = bacio:* = baci: – p = linguacce

Dai messaggini alle e-mail tra pollici blu e cuori pallidi (di Umberto Folena)