Dossier

Velo islamico, dalla Francia una legge inutile

di Asem KhalilÈ una legge «à la française»; altrimenti come spiegare lo stupore dei commentatori all’indomani dell’adozione della legge che interdisce nelle scuole publiche i simboli che manifestano ostentatamente un’appartenenza religiosa, mentre sette francesi su dieci si dichiarano favorevoli a tale norma. «Come è possibile? – si leggeva nel quotidiano polacco “Varsovie Gazeta Wyborcza” – Com’è che la Francia, considerata la patria dei diritti umani e della democrazia moderna, si trova a praticare una discriminazione di questa grandezza?».

La Francia è un paese profondamente laico, risponde Gilbert Knaub, professore universitario. La sua laicità intende essere una neutralità verso tutte le religioni. La famosa legge del 1905 separa le Chiese dallo Stato e assicura, nel suo primo articolo, la libertà di coscienza; un principio che è stato ripreso nella Costituzione del 1958 che rispetta tutte le credenze e assicura l’uguaglianza di tutti i cittadini.

Lo Stato, in Francia, è considerato come il detentore della volontà generale e il garante del bene comune; per questo, ogni volta che c’è una crisi, una catastrofe naturale, un conflitto sociale… ci si chiede: dove è lo Stato? Perché non è intervenuto? Si può dunque capire perché in Francia si ricorre al legislatore per risolvere un problema sociale. Si ricorre alla legge come se fosse una pozione magica che – per lo stesso fatto di essere introdotta – risolverebbe tutti i problemi! Questa concezione è del tutto estranea ad altre culture giuridiche come, per esempio, quella anglosassone. È del tutto evidente che in Francia c’è un problema relativo all’integrazione (o all’esclusione, l’altra faccia della medaglia) ma è altrettanto chiaro che la situazione internazionale contemporanea ha aggiunto benzina sul fuoco, creando una certa isteria collettiva e causando confusione tra fondamentalismo e religiosità. Il risultato è semplice: si ha paura dell’Islam! Si capisce allora perché il velo possa essere considerato come suscettibile di causare disordini oggi, e non lo era qualche anno fa. L’intenzione del legislatore francese è dunque legittima perché la legge intende dare una risposta a un problema sociale che è presente oggi più che mai; ma le buone intenzioni non bastano. Ci si deve piuttosto chiedere: una legge «anti-velo», è la risposta adatta al crescente fondamentalismo islamico? Una tale legge risolve il problema dell’integrazione? (la stessa legge proibisce altri simboli religiosi, come per esempio una grande croce, oppure la «kippa» ebraica).

Se la risposta alle due domande precedenti è negativa allora quella legge è simplicemente inutile; ma «le leggi inutili – ce lo ricorda Montesquieu nel suo Esprit des Lois (L.XXIX, cap. 16) – indeboliscono le leggi necessarie» e la moltiplicazione delle leggi inutili – per riprendere la frase di Tacito, tanti secoli prima – indica la decomposizione dello stato («corruptissima re publica plurimae leges», Annales, L.XXIX, cap.16).

Come ha scritto il prof. Philippe Malaurie, dell’Università di Parigi II, in un articolo sulla Semaine Juridique (n.14), oggi, accanto alle leggi imperative e dispositive, esistono delle leggi «simboliche» che sono semplice soddisfazione morale, semplice proclamazione di un principio, con l’effetto perverso, però, di aumentare i conflitti invece che diminuirli. asemkhalil@yahoo.com La scheda• La consuetudine delle donne islamiche di portare il velo si basa sul Corano (Sura XXIV, 31 e Sura XXXIII, 59). Tuttavia, questi versetti sono oggetto di varie interpretazioni.

• La Turchia laica di Attaturk fu il primo paese ad impedire alle donne di portare il velo nelle istituzioni publiche.

• L’Iran obbliga tutte le donne a portare il velo nei posti publici.

• La Francia è il primo paese dell’Unione europea che ha adottato una legge che proibisce segni che manifestino apertamente una appartenenza religiosa nelle scuole publiche (Legge n° 2004-228 del 15/3/2004).

• Secondo il ministero dell’educazione francese, al rientro a scuola dei 12 millioni di studenti il 2-3 settembre, 100-120 ragazze si sono presentate con il velo contro 1200 nell’anno precedente.

• Secondo un sondaggio del dicembre 2003, il 69% dei francesi è favorevole a una legge che proibisce segni che manifestino appartenenza religiosa.

Un precedente in EuropaGermania3,2 milioni di musulmani (3,8% della popolazione). Solo sei Lander intendono adottare una legge contro il velo a scuola. Gran Bretagna2 milioni di musulmani (3,4%). Ogni struttura scolastica pubblica ha la libertà di imporre regolamenti interni restrittivi. Belgio300 mila musulmani (2,9%). Le scuole continueranno ad essere libere di adottare regolamenti interni che impediscono il velo finché non interverrà una legge. Olanda300 mila musulmani (1,9%). La legge impedisce la discriminazione religiosa e autorizza il velo nelle scuole. Svezia350 mila musulmani (4%). Nel nome della libertà di culto, si tollera il velo nell’insegnamento, sia pubblico che privato. Danimarca17 mila musulmani (3,2%). Nell’estate 2003 è stata proposta una legge per impedire il velo; la coalizione conservatrice-liberale non è favorevole al ricorso ad una legge anche se ne condanna l’uso. Spagna300 mila musulmani (0,7%). Il velo si può portare sia nelle strutture publiche che private. Italia800 mila musulmani (1,4%). La questione del velo non è stata finora di grande attualità; al contrario si è discusso sulla presenza del Crocifisso nelle scuole publiche; un dibattito che non è ancora del tutto esaurito. Il caso:Sabrina e le multe del sindaco leghistaHa chiesto aiuto anche al presidente della Repubblica Sabrina Varroni, 34 anni, un’italiana sposata con un marocchino e convertita all’Islam, che negli ultimi mesi si è vista multare due volte per 41,32 euro da un solerte vigile urbano per violazione dell’articolo 85 del Regio decreto 773 del 1931, in quanto il velo «le mascherava il viso, rendendo impossibile il riconoscimento». Sabrina adesso ha paura per la sua incolumità, dopo che la vicenda ha travalicato i confini del piccolo paese comasco (994 abitanti), vicino alla Svizzera, per assumere i connotati di uno «scontro» politico. Nel mese di luglio, dopo una vivace discussione con la donna, il sindaco leghista Cristian Tolettini, che tra l’altro è stato suo compagno di scuola, aveva emesso un’ordinanza che vietava l’accesso ai luoghi pubblici alle persone con il volto coperto. Ma il prefetto di Como Guido Palazzo Adriano aveva annullato l’ordinanza rilevando «eccesso di potere e duplicazione di norme esistenti». Il sindaco di Drezzo, che nel frattempo è ricorso al Tar, aveva fatto subito sapere che avrebbe comunque multato la donna, se avesse continuato a circolare velata per il paese. E così è arrivata anche la seconda multa. «Da anni porto il velo, sono italiana, cresciuta a Drezzo e non ho fatto del male a nessuno. Perché questo accanimento nei miei confronti?» si chiede Sabrina Varroni, che ha dato incarico al suo legale di ricorrere contro le due multe. Ma nel mirino dei leghisti è finito lo stesso Prefetto di Como, reo non solo di aver annullato l’ordinanza anti-velo ma di aver anche ignorato la richiesta della Lega di chiudere la moschea dopo che l’imam era stato allontanato per sospette collusioni con i terroristi. Così il Carroccio ha annunciato una manifestazione «contro i prefetti», oltre che contro il velo islamico. Da qui la lettera aperta pubblicata dai giornali locali, in cui la donna chiede un’«autorevole presa di posizione» al Capo dello Stato. «Il velo, il cui nome tecnico è nikab – scrive Sabrina – non è un’imposizione, indossarlo è una mia libera determinazione nel convincimento di osservare lo spirito più profondo della fede che ho abbracciato. Non ho mai dato fastidio a nessuno e i miei concittadini, a parte le iniziali, inevitabili incomprensioni, non ne hanno mai dato a me e ai miei familiari». «La verità – scrive ancora la donna – è che ho paura, paura per i miei figli, per mio marito, per me». Questa vicenda, ha aggiunto, «ha travalicato i confini della mia piccola comunità, in cui ero accettata e compresa da moltissimo tempo, è esplosa, esasperata e fagocitata dalla macchina mediatica».C.T.

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