Dossier
Velo islamico, Rula Wores: «Per me è una scelta di libertà»
È così che l’abbiamo conosciuta noi incontrandola nella sua abitazione nei pressi del Duomo a Firenze dove Rula, nata in Giordania, vive con il marito Izzeddin Elzir, stilista, uno dei proprietari di una bancarella di giubbotti in pelle sul mercato di San Lorenzo. Izzeddin è anche presidente della Comunità islamica fiorentina ed imam ovvero colui che ha il compito di guidare la preghiera durante le funzioni religiose.
«Sono in Italia da cinque anni racconta in un italiano ormai perfetto e qui mi trovo bene. Mio marito era già qui e a Firenze sono nati i nostri due bambini: la femmina, Lin, di 4 anni, che va alla scuola materna, e il maschio, Akram, di 2».
Rula, cosa rappresenta il velo per una musulmana? Perché gli viene data tanta importanza?
«Il velo per noi non è un simbolo, fa parte integrante della nostra fede come è scritto nel Corano. Per questo è così importante. Quando a una donna musulmana praticante si chiede di togliere il velo è come se le si chiedesse di togliere una parte della sua fede. Non è la stessa cosa che togliere un simbolo».
Quando sei tenuta ad indossare il velo?
«Preciso che non devo indossare il velo per forza. Sono io che ho deciso di metterlo. Ci sono musulmane non praticanti che non lo portano. Detto questo, posso stare senza velo in casa e solo di fronte al marito, ai parenti stretti e ad altre donne come sto facendo ora con te. Di fronte a uomini stranieri e quindi quando esco di casa non posso. In questo caso metto una tunica a maniche lunghe oppure una gonna lunga, maglia a maniche lunghe e velo. La donna musulmana deve essere coperta tutta all’infuori del viso, delle mani e dei piedi».
A quale età una donna deve cominciare ad indossare il velo?
«All’età dello sviluppo. Fino da piccole si cerca di dare alle bambine un certo tipo di educazione. La mia bambina quando mi vede pregare si mette vicino a me e anche lei vuole il velo: così gliel’ho fatto fare alla mia mamma con un pezzettino di stoffa. Il compito dei genitori verso i figli è di incoraggiarli dando questa educazione: certamente senza fare nessuna pressione perché la nostra fede deve essere scelta, non deve esserci costrizione. Io ho messo il velo prima della mia mamma, verso quattordici anni. È una scelta di libertà, è vivere la fede. Attenzione, non è il marito che esige il velo, è la risposta di una donna praticante alla sua fede».
Perché tante differenze di veli tra le diverse aree del mondo arabo, fino ad arrivare al burqa afgano?
«È questa la moda. L’Islam ha chiesto alla donna di coprirsi totalmente eccetto il viso, le mani e i piedi. Il discorso di coprirsi il viso è una cosa pre-islamica. Esisteva prima dell’Islam, ma anche successivamente queste usanze sono rimaste. E l’Islam, non essendo una cosa negativa, non ha cercato di cambiarle ma ha semplicemente dato delle regole».
Prima parlavi di moda. Non è un controsenso seguire la moda anche relativamente ad un comportamento dettato esclusivamente da motivi religiosi?
«No, l’Islam non ha chiesto un colore preciso e un modello fisso di velo, ha chiesto alla donna di essere coperta e basta. L’islam ha dato la libertà ma con alcune regole. Non c’è contraddizione fra moda e Islam, fra arte e Islam, fra amore e Islam, solo che ci sono regole per cercare di costruire una società sana. Per questo possiamo seguire la moda e scegliere vari tipi di veli. Dipende con che abito li indossiamo. Come gli uomini cambiano tanti tipi di cravatte, la donna musulmana può sbizzarrirsi nel velo. Quando vado in Giordania ne compro di nuovi, a un colore, a due o a tre. Fatti da due o tre pezzi. C’è una grande varietà».
Ci sono deroghe all’obbligo di indossare il velo? Ad esempio in caso di emergenza, come un trauma cranico o un intervento chirurgico che esiga lo scoprimento della testa?
«In caso di urgenza per salvare la vita mettiamo tutte le regole da parte perché la sacralità della vita umana supera qualsiasi cosa. Anche quando ho partorito logicamente non avevo il velo. Tuttavia anche per il parto si preferisce essere seguite da medici donna e così è stato per me».
Rula, cosa ne pensi della polemica sulle carte d’identità che tiene banco in questi giorni?
«Come sappiamo c’è una circolare del Ministero degli interni che dice che una donna può fare la carta d’identità con il velo islamico. Perciò per noi è una polemica inesistente. Certamente non si può fare foto con il burqa perché in tal caso non si può identificare la persona. Noi siamo contrari alla legge francese ma l’abbiamo rispettata. Ogni musulmano è obbligato a rispettare la legge del Paese dove risiede».
Storicamente, lo hijab non ha mai rappresentato un dogma nell’Islam, un’obbligazione giuridica o un simbolo religioso, anche se oggi lo si presenta come tale. Il decisivo mutamento semantico e giuridico nella questione dello hijab si ebbe nella seconda metà del XX secolo, quando nei paesi musulmani i processi di modernizzazione misero in crisi le strutture tradizionali delle società.
L’Islam moderato non prevede norme rigide sull’abbigliamento della donna, perché più importante dell’abito sono il comportamento, gli atteggiamenti e i pensieri. Inoltre, in un paese occidentale può essere più esibizionistico il vestirsi «all’araba» che non come la maggioranza delle donne. Nella maggior parte dei casi il hijab si concretizza in abiti non aderenti che coprono il corpo fino alle caviglie e in un foulard (il «velo islamico») che copre i capelli e la nuca. Questo tipo di foulard può assumere vari nomi e forme diverse che dipendono dalla cultura locale ma anche dalle mode: dupatta, shayla, milfeh, hijab, khimar.