Dossier

Auschwitz, i ragazzi toscani di fronte all’orrore

dall’inviato SIMONE PITOSSIApplausi. Così genitori, parenti ed amici accolgono i giovani di ritorno dalla Polonia sul Treno della Memoria 2005. È il riconoscimento per la «missione» degli studenti nei luoghi dello sterminio nazista a sessant’anni dalla liberazione di Auschwitz: stimolare la memoria affinché ciò che è accaduto non si ripeta mai più. Tappa decisiva di questo viaggio – dal 25 al 30 gennaio – è stata la visita a Birkenau. Tre chilometri di distanza dal campo principale di Auschwitz già visitato dagli studenti. Birkenau viene chiamato «Auschwitz II» perché nato dopo il «fratello maggiore». Ma, di fatto, questo è il vero e proprio luogo concepito dai nazisti per lo sterminio della razza ebraica. Fino a 4500 persone potevano essere uccise in un giorno.

L’ampia delegazione toscana oltrepassa la porta del lager. Si forma un lungo corteo silenzioso. In testa la bandiera italiana. Dietro Paolo Benesperi, assessore regionale all’istruzione, e Ugo Caffaz, capodelegazione. Insieme a quello della Regione Toscana (organizzatrice del viaggio), i gonfaloni di alcune amministrazioni provinciali e comunali. Poi gli oltre mille studenti. Il corteo percorre in lunghezza il campo fino ad arrivare al memoriale delle vittime della Shoah che sorge sulle rovine di una delle quattro camere a gas e del crematorio. Al suono delle «chiarine» vengono deposte due corone di fiori. Tocca all’assessore Paolo Benesperi portare il saluto della Regione: «In questo luogo ci mancano le parole. I nostri sentimenti sono di sdegno, incredulità, sdegno per ciò che vediamo, proviamo, immaginiamo. Ma le parole ci mancano».

La domanda che sorge è: «Come è potuto accadere?». «È difficile dare una spiegazione all’orrore – conclude Benesperi –. La memoria serve perché tutto ciò non accada più». La parola passa poi alle sorelle Bucci, le uniche due bambine italiane scampate al lager nazista. Nei loro occhi lucidi, quasi persi nel vuoto, è visibile il ricordo di ciò che hanno vissuto in questo luogo. E Tatiana, interpretando il pensiero della sorella minore Andra, dice commossa: «Abbiamo parlato molto in questi giorni. Oggi è il momento del silenzio».

Sui visi, infreddoliti, di alcuni degli studenti, a questo punto scendono lacrime. Al termine della cerimonia la recita di tre preghiere: una in lingua Rom (anche gli zingari furono deportati e uccisi dai nazisti), una cattolica (una poesia di padre David Turoldo) e, infine, una ebraica. A Birkenau i treni provenienti da tutta Europa si inoltravano fin dentro al campo: i binari della ferrovia erano stati prolungati per entrare dalla porta principale ed arrivare fino alla baracca dove veniva fatta la selezione. Da una parte, quelli che venivano mandati direttamente alla camere a gas, dove veniva usato il veleno Zyclon B. Verso la morte immediata – nelle quattro camere a gas e negli altrettanti forni crematori – finivano circa il 75% di quelli che arrivavano, in maggioranza anziani, donne e bambini. Dall’altra, coloro erano ritenuti abili ai lavori forzati – solo il 25% – ed erano ridotti a scheletri viventi: i prigionieri che vennero liberati il 27 gennaio 1945 dall’Armata Rossa sovietica pesavano 30/40 chili, meno della metà di una persona normale. La vita media era di 3 mesi.

Di qua e di là dalla ferrovia le baracche che si stendono a perdita d’occhio. A destra, quelle riservate agli uomini e costruite in legno. A sinistra, le baracche in muratura riservate a donne e bambini. In una di queste, infermieri e dottori – tra i quali Joseph Mengele, il «dottor morte» – eseguivano disumani esperimenti scientifici usando gli internati come cavie. Un milione e 300 ebrei – secondo gli storici – fu ucciso o morì di stenti ad Auschwitz. I ragazzi comprendono. Aiutati anche dal freddo (la temperatura è sempre stata sotto zero) e dalla neve: le condizioni di vita dei prigionieri erano impossibili. E si rendono contro che Birkenau fu il capolinea dell’orrore.

Gemma e Annita, dell’alberghiero «G. Minuto» di Massa Carrara: «Quello che ci ha colpito a Birkenau sono i graffiti dei prigionieri che, chiusi in prigionia, rappresentano momenti di vita in libertà. E poi, il posto dove dormivano, qualcuno in terra, al gelo. Vedere queste cose dal vivo e vederle in televisione o al cinema è molto diverso». Aleandro dell’Iti di Grosseto si chiede come sia possibile «tanto disprezzo per una razza diversa e per la vita umana». «Ciò che colpisce – continua – è l’organizzazione razionale dello sterminio. Niente era lasciato al caso. Birkenau mi ha impressionato per i binari che entrano dentro al campo: pensare al treno che entra e ai prigionieri che scendono e vengono portati alle camere a gas è impressionante». Per Antonio del liceo scientifico «Fermi» di Arcidosso (Gr) sono state «forti le emozioni sentite a passare l’ingresso di Birkenau: è una sensazione indescrivibile, tremavo».

Poi c’è Samanta del liceo «Rodari» di Prato: «Le parole non hanno senso. A Birkenau si può solo stare in silenzio. Questo viaggio serve per capire il passato ma soprattutto per vivere bene il presente ed evitare che il futuro ci riservi certi orrori». Infine c’è la storia di Laura. Non era rientrata negli studenti sorteggiati dalla sua scuola di Castelfiorentino (Fi). E così lei ha avuto un’idea: «Ho chiesto ai miei genitori di pagarmi questo viaggio come regalo di Natale e di compleanno. Non ho sbagliato: è stata un’esperienza irripetibile e molto intensa». La conclusione è di Ugo Caffaz, dirigente del Dipartimento istruzione della Regione e «capodelegazione»: «È importante che i giovani vengano qui, vedano con i loro occhi ciò che è accaduto. Ricordare ciò che è avvenuto nel passato è fondamentale perché nel futuro ciò non si ripeta». E i giovani hanno compreso. «La maggioranza – conclude Caffaz – ha risposto positivamente. Ha capito e ha meditato». I giovani sono tornati a casa e hanno ripreso la vita di tutti i giorni. Ma quella dal 25 al 30 gennaio 2005 sarà un’esperienza che non scorderanno mai più.

L’intervistaLo storico: questo viaggioapra la coscienza ai giovaniQuali sono le vere radici dell’odio verso gli ebrei? Come è stato possibile lo sterminio di milioni di esseri umani nella civilissima Europa? A queste e ad altre domande abbiamo chiesto di rispondere – sulla via del ritorno da Auschwitz – a Giovanni Gozzini, docente di storia contemporanea alla facoltà di lettere dell’Università di Siena. Lo storico, che è anche direttore del Gabinetto Viesseaux di Firenze, ha parlato ai giovani al Palasport di Cracovia. L’intervento ha colpito gli studenti che hanno applaudito più volte. Professore, spesso per spiegare il genocidio ebreo si ricorre alla follia di Hitler. Ma questo è sufficiente? «L’ipotesi del “mostro” è la più rassicurante. Tu dici: “lui è un marziano, io non non ho responsabilità”. Lo stesso Processo di Norimberga è stata un po’ l’esposizione del “mostro”. La ricerca poi è andata a esplorare la “zona grigia”, come la chiamava Primo Levi, ovvero quella gente che non è che collaborasse attivamente con il regime nazista ma faceva finta di non vedere e non sentire. Ma in una situazione così estrema il non far niente equivale a scegliere da che parte stare».

Quante erano queste persone?

«Si stima che i collaborazionisti a vario titolo fossero circa un milione: dal soldato nazista del campo al capostazione che vedeva passare i treni senza porsi domande c’è tutta una gamma di comportamenti. Il difficile della storia è di restituire questi percorsi individuali con le loro differenze. Questa però è la chiave di lettura migliore per far capire ai ragazzi cosa è avvenuto. Se parli della belva nazista e del nazifascismo, queste rimangono entità astratte ed allegoriche e tutto è molto idelogico. Se invece presenti la storia individuale, questo permette loro di immedesimarsi e di chiedersi che cosa avrebbero fatto al loro posto».

E allora tramite i percorsi individuali delle persone si capisce come si è arrivati al genocidio?

«È stato possibile in tanti modi, ciascuno aveva le sue motivazioni. Lo storico americano Robert Gellately ha trovato che più del 50% delle denunce contro gli ebrei tedeschi nella Bassa Sassonia erano fatte da privati cittadini. Perché? Perché volevano la casa, il negozio, il posto di lavoro degli ebrei. E su questo il regime ha fatto leva stimolando i cittadini a denunciare gli ebrei in cambio di ciò che desideravano. Questo non è antisemitismo, ma il nazismo fornì a questi cittadini un nemico individuabile e debole su cui rivalersi».

Dentro al regime nazista quanti erano quelli che sapevano esattamente come stavano le cose?

«L’antisemitismo era uno dei pilastri della propaganda del regime. Ma non era uno dei motivi più forti di attaccamento al regime, lo era di più il nazionalismo. Un’ipotesi affermata parla di Hitler come un dittatore debole che si limita a fare da ago della bilancia tra il blocco di Himmler, ovvero le SS, che ha nello stato razziale il suo progetto, e il blocco di Goering che pensava all’economia bellica e alla conquista. Tra questi due pezzi del regime ci sono scontri ripetuti. Alla fine vince la linea di Himmler. Nel testamento scritto da Hitler, un’ora prima di suicidarsi, il dittatore dice: “Io lascio in eredità ai futuri governanti della Germania le leggi razziali”. Avrebbe potuto dire tutto: l’anticomunismo, la Grande Germania. Ma il suo pensiero va alla soluzione finale. Quindi tutti, a vari livelli, erano a conoscenza del disegno. Nessuno si può chiamare fuori».

Esiste il pericolo che tutto ciò si ripeta? Come fare per evitarlo?

«Fenomeni come questo sono sempre in agguato. È compito degli stati democratici attivare gli strumenti di reazione pacifici. Io non credo alle leggi di proibizione e di abolizione dei partiti neonazisti. Credo di più al dibattito, al dialogo e alla formazione».

Questo viaggio è formazione. Come inciderà nelle vite degli studenti?

«La lezione più grossa che avranno da questo viaggio sarà di tradurre la Memoria nella loro quotidianità. Molti giovani vivono la vita come se avessero sempre inserito il “pilota automatico”. Questo viaggio deve insegnare ai giovani a staccarlo, e a dare la precedenza alla loro coscienza».

In breveUna medaglia commemorativaUna catena che si spezza, delle mani che depongono pietre e la scritta «Auschwitz 1945–2005». Questi i soggetti che sono raffigurati sulla medaglia, questa la scritta che campeggia sulla medaglia realizzata dal giovane Vuk Nesic, studente del secondo anno dell’Istituto d’arte Petrocchi di Pistoia, vincitore del concorso «Memoria è segno» indetto dalla scuola, in collaborazione con la Regione Toscana, la Provincia di Pistoia, la Fondazione Vivarelli e «Coinart» per la realizzazione di una medaglia commemorativa, simbolo del viaggio del Treno della Memoria 2005. La medaglia in bronzo è stata consegnata a tutti i partecipanti al viaggio. Due equipe mediche di pronto soccorsoDue equipe mediche di pronto soccorso hanno accompagnato il Treno della Memoria, entrambe composte da due medici e quattro volontari. Sul «treno giallo» era presente la squadra della Confraternita di Misercordia di Rifredi (Fi). Sul «treno azzzurro» quella della Fratellanza Popolare di Peretola (Fi). Hanno assistito gli studenti (e anche tutti gli altri al seguito) sia sul treno sia durante i giorni di visita ai campi di sterminio. Gli interventi sono stati i più vari e hanno tenuto impegnati medici e volontari sia di giorno che di notte. «Segnali di fumo»: un forum sulla «rete»Un forum telematico. È l’iniziativa del portale dedicato ai giovani da Arci e Regione www.segnalidifumo.net. «I giovani che hanno partecipato al viaggio ma anche tutti gli altri – spiega Martina Magrini, inviata del portale ad Auschwitz – possono scambiare commenti e riflessioni sull’iniziativa del Treno della Memoria». Il forum è aperto fino a martedì 8 febbraio quando verrà concluso alle ore 17 con la partecipazione online dell’assessore regionale all’istruzione Paolo Benesperi. Inoltre sia le classi che i singoli partecipanti al viaggio possono spedire a info@segnalidifumo.net pensieri, foto, filmati, disegni. Per informazioni: tel. 0571/80516. Un libro per ricordare e comprendereE’ uscito nel dicembre scorso un libro a cura della Comunità di San Leolino (Panzano, Firenze) per le edizioni Feeria intitolato «La sfida di Auschwitz – Ricordare per comprendere». L’agile volumetto raccoglie una serie di scritti che partono dall’esperienza di un insegnante sul Treno della Memoria di due anni fa. Ci sono poi una serie di saggi, tutti scritti dai membri della comunità, che affrontano il problema dei campi di sterminio da vari punti di vista: da una riflessione sul «silenzio» di Dio e dell’uomo ad Auschwitz al cosiddetto «caso Pio XII», dalla figura del rabbino Zolli convertito al cristinesimo al film «Il pianista».

Treno della memoria, studenti toscani ad Auschwitz

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Le immagini del Treno della memoria