Dossier
2007, l’anno in camicia rossa
Ma non c’é solo il Giro tra le iniziative in programma per il bicentenario garibaldino: «Il nostro obiettivo ha detto il sottosegretario al ministero dei Beni e delle attività culturali, Andrea Marcucci, che presiede il comitato nazionale per le celebrazioni è di fare una festa diffusa in tutto il mondo». Molti gli eventi: dalla fiction Eravamo solo mille di Stefano Reali (di cui si parla nella pagina accanto), alle iniziative didattiche con la cooperazione del programma Rai «La storia siamo noi» e dell’Istituto Luce.
Tre, invece, le mostre fisse: a Roma, Firenze e a Genova. Sarà, poi, indetto un concorso per le scuole elementari e superiori per premiare mille giovani che ripercorreranno le tappe dei loro storici omonimi.
«La festa ha un taglio istituzionale ha spiegato Marcucci perché ha l’appoggio del ministero degli Affari esteri, dell’Ambiente, delle Comunicazioni, della Difesa, dell’Interno e della Pubblica istruzione. Collabora con noi anche la presidenza del consiglio dei ministri, in particolare il Dipartimento informazione e editoria, che farà una campagna stampa di supporto prima del grande evento del 4 luglio alla commemorazione romana alla presenza del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano».
Per quanto riguarda la mostra fiorentina, avrà come titolo «Garibaldi: immagini di un mito», sarà realizzata in collaborazione con la «Fondazione Spadolini Nuova Antologia» e la «Fondazione Turati», sarà inaugurata a luglio e ospitata in tre sedi: Palazzo Pitti, Biblioteca Nazionale centrale e Fondazione Spadolini a Pian dei Giullari. Sulle celebrazioni del bicentenario è comunque attivo un sito internet apposito (www.garibaldi200.it).
Dopo la morte di Anita, nella pineta di Ravenna, nell’agosto 1849, torna in Toscana e si ferma a Modigliana, allora territorio toscano, ospite di don Giovanni Verità. Il soggiorno del 1849 è segnato da numerose lapidi, a testimonianza di un soggiorno più o meno prolungato. Dalla locanda Baldini, a Santa Lucia allo Stale, sul passo della Futa, a Barberino di Mugello, Vaiano, Prato, Poggibonsi, nella casa di Giuseppa Bonfanti, dove tornerà nel 1867. Poi Volterra, Pomarance, Monterotondo Marittimo, Gavorrano, l’Elba, dove sosta a Cavo, nel comune di Rio Marina.
Passano dieci anni, all’inizio del 1859, Garibaldi ricompare sulla scena italiana e quasi subito arriva in Toscana. Sbarca a Livorno e poi a Firenze: soste brevissime come brevissima sarà la fermata a Talamone nel 1860, tappa verso la Sicilia per la spedizione dei Mille.
Il 1862 è l’anno dell’Aspromonte, dove Garibaldi è ferito. Tornerà a Pisa per curarsi e alloggerà all’albergo delle Tre Donzelle. Il 20 dicembre parte per Livorno e da qui a Caprera. Le visite si diradano: nel 1866 è a Firenze, dove torna l’anno dopo, alloggerà in piazza Bellosguardo, e a Fiesole dove consumerà una «piccola refezione». Sempre nel 1867 soggiorna a Castelletti di Signa, Monsummano, Pistoia, Vinci e Castelfiorentino.
Nel 1942 arriva Un garibaldino al convento, di Vittorio De Sica, e dieci anni dopo Camicie rosse Anita Garibaldi, di Goffredo Alessandrini e Francesco Rosi, con Anna Magnani e Raf Vallone. Nel 1960, in occasione del centenario della spedizione stessa, tocca a Roberto Rossellini affrontare l’argomento con Viva l’Italia!. Importante perché rappresenta il primo approccio dell’autore con la Storia che diverrà poi il marchio di fabbrica di tutta l’ultima parte della sua carriera, ma tutt’altro che capace di suscitare entusiasmi, anzi tra i film di Rossellini uno dei più amati (dai francesi) e ignorati (dagli italiani).
Florestano Vancini, nel 1972, realizza Bronte – Cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato, che ha avuto una certa diffusione nei circuiti d’essai e (poco) sugli schermi televisivi. Più che Garibaldi, è Nino Bixio (interpretato da Mariano Rigillo) al centro dell’azione, che riscrive una parte della storia accanendosi su alcuni contadini siciliani accusati di aver ostacolato l’avanzata delle Camicie Rosse. Un film duro, totalmente antieroico, che non fa sconti a patriottismo e Storia con la S maiuscola.
Un anno dopo, nel 1973, Franco Rossi dirige per la televisione lo sceneggiato Il giovane Garibaldi, interpretato da Maurizio Merli, che alla maniera, si direbbe quasi, di un Vangelo apocrifo prende in considerazione gli anni del mare e del Sudamerica abitualmente ignorati dai libri di Storia. Un altro film «trasversale» è sicuramente Allonsanfan di Paolo e Vittorio Taviani, che rappresenta nel 1974 il discriminante della loro carriera dall’impegno più strettamente politico alle successive digressioni poetiche. Non affrontando direttamente la spedizione dei Mille, gli autori immaginano nel primo Risorgimento la vicenda di un nobile inquieto che, conquistato a una imprecisata causa rivoluzionaria i cui affiliati indossano camicie rosse, tradisce più volte i compagni fino a cadere a causa di un ultimo voltafaccia.
Così Garibaldi lodava Adelaide Bono Cairoli, la mamma degli eroici fratelli, che di figli ne perse ben quattro, tutti al seguito del Generale. Fu corrispondente e amica di grandi del Risorgimento, che di lei si servivano per contattare l’animoso personaggio, poco incline alla diplomazia, ma sensibilissimo al fascino femminile e capace a sua volta di affascinare. Non c’è da stupirsene, perché basta ripercorrere la biografia di Garibaldi per comprendere come questa si sia ben presto trasformata in mito, rendendo mitiche anche le sue donne. A cominciare da Ana Maria de Jesus Riberio, ossia Anita. Brasiliana, sposata e già madre, conosce il giovane quando questi combatte per la libertà dei popoli del Sud America. Pare sia stata lei ad insegnare al marinaio nizzardo l’arte del cavalcare. Pare anche che la loro fosse una passione travolgente.
Nel 1840 ebbe il primo figlio da lui, Menotti. La leggenda vuole che, a cavallo, con il neonato in braccio, sia sfuggita ad un agguato e sia rimasta nei boschi per tre giorni. Visse con l’eroe a Montevideo, fece la lavandaia per mantenere la famiglia, che era cresciuta di altri due figli; giunse a Nizza nel 1847 e poi riprese a seguire il combattente nelle sue peregrinazioni, fino alla sfortunato episodio delle Repubblica Romana, alla fuga dall’Urbe in stato di gravidanza e alla morte a Ravenna nel 1849. Scavare nella biografia del Generale significa imbattersi in Emma Roberts, la «fidanzata» inglese che egli invitò ad andare a vivere con lui a Caprera dopo il 1856. Così almeno si racconta. Poiché la donna non riuscì a raggiungerlo per l’opposizione dei figli, l’eroe tornò da solo sull’isola, accontentandosi di chiamare «Emma» l’imbarcazione che si era comprato a Londra. Un posto di rilievo ebbe anche Francesca Armosino, sposata poco prima della morte, ma da lungo tempo sua fedele compagna e madre di altri tre figli, fra cui Clelia, la custode delle memorie del padre, che ne pubblicò anche un romanzo «Menotti». Vanno almeno citate la contessina Raimondi, l’ignota salvata dal giovanissimo Giuseppe mentre stava per affogare in un fossato e la madre Rosa.
Al di là della sfera familiare e dei rapporti sentimentali, tuttavia, appare forte la presenza femminile nella avventura politica e militare di Garibaldi: è al centro di una stretta trama di rapporti con quelle che la storiografia ha chiamato le «sorelle d’Italia», le donne impegnate nel Risorgimento. Assume un grande rilievo ad esempio la figura di Antonietta di Pace, detta «Niccardo», perché in famiglia dopo tre figlie si attendeva un maschio. Personaggio straordinario, donna del Sud, «pasionaria» della libertà d’Italia, avversa ai Borbone, dotata di buona cultura, fu al centro di una rete di cospiratrici, mogli a loro volta di cospiratori, come Raffaella Settembrini, Antonietta Poerio, Aline Peret Agresti. Fautrice del conflitto armato, vide in Garibaldi l’eroe da affiancare e da sovvenzionare: a Salerno cercò fondi per acquistare fucili da inviargli per l’ impresa dei Mille; viaggiò in Puglia e in Abruzzo per preparagli il terreno durante la risalita dalla Sicilia. Lo accolse a Salerno col suo comitato femminile; sempre galante, il generale la abbracciò e le disse: «Sono felice di spezzare le catene che imprigionavano un popolo generoso e di scacciare quei re che non avevano rispetto neppure per le donne». Antonietta gli chiese: «Generale, quando andiamo a Napoli?» e lui pronto:«Domani. E lei si tenga pronta a venire con me». Così fu. La «strana coppia» entrò nella città il mattino seguente, a cavallo e seguita da un pugno di uomini in camicia rossa.
Insieme a lei, in quelle imprese, sono da ricordare Jessie White Mario, scrittrice e patriota, la «Miss Uragano» che chiuse i suoi giorni a Firenze e tante altre.
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Garibaldi, un mito meno mito di quello che si pensa (di Romanello Cantini)