Lettere in redazione
Il Brasile, le proteste di piazza e il Mondiale di un «agnostico»
Sono iniziati a São Paulo con la partita Brasile-Croazia i campionati del mondo di calcio per la seconda volta in Brasile, dopo l’edizione del 1950, quando avvenne la «tragedia del Maracanazo», ossia dove il Brasile perse la finale per l’Uruguay. Ma arrivano in una situazione abbastanza strana: euforia per la grande maggioranza della gente che colora e dipinge strade e case, marketing e uso dell’evento da parte del Governo locale e federale, ma anche proteste che stanno usando i Campionati del Mondo per avere più visibilità.
In tutto dodici città sono sede del mondiale per una spesa totale di 25,8 miliardi di reais (circa 8,5 miliardi di euro) che probabilmente diventeranno 30 alla fine dei conti.
Secondo un articolo pubblicato nel giornale spagnolo «El pais», il Brasile «arriverà ai mondiali come campione di spesa in stadi», sottolineando che in Germania nel 2006 furono spesi 3,6 miliardi di reais per lo stesso numero di Stadi e nell’Africa del Sud nel 2010 il valore fu all’incirca di 3,27 per 10 opere.
In un articolo di questi ultimi giorni della «Folha de São Paulo», i 25,8 miliardi di reais di spesa previsti fino ad ora, equivalgono al 9% della spesa pubblica annuale investita nell’educazione.
Oltre agli stadi, i soldi sono stati spesi in opere di infrastruttura che, in molti casi, non sono state ancora completate come aeroporti e progetti di viabilità nelle città ospitanti. Molte di queste opere termineranno tra uno-due anni, e se così veramente avverrà, sicuramente porteranno dei miglioramenti per tutta la popolazione.
Sugli stadi è meglio stendere un velo pietoso, perché alcuni resteranno delle vere «cattedrali nel deserto», come i casi di Manaus, Cuiabà, Natal, Brasilia, città dove il calcio porta negli stadi le domeniche al massimo 3-4.000 persone (a Manaus si arriva al massimo a 1.000 spettatori), ed in altri casi sono stati costruiti stadi nuovi a un costo esorbitante, tipo lo stadio Itaquerão in São Paulo, palco della prima partita, ma dove già esistevano stadi grandi che bastava modernizzare. Ma proprio questo stadio, che dopo i Campionati del Mondo sarà il nuovo stadio del Corinthians, squadra del cuore (e sicuramente di altri interessi) dell’ex presidente Lula, spiega come è stata gestita questa fase di sette anni in preparazione ai Mondiali. E qui vale risaltare, che la scelta di avere 12 sedi, in 12 Stati della Federazione, è stata definita solo da interesse e appoggio politico.
A molti piacerebbe chiamarla «Coppa del popolo» ma un certo scontentamento è presente in vari settori della società. Ma bisogna riconoscere che la decisione della Coppa del Mondo in Brasile fu fatta nel 2007 dall’allora Governo di Lula. Ebbene fino allo scorso anno nessuno protestava, reclamava, e poi dall’anno scorso tutto cominciò con le proteste nella Coppa delle Confederazioni (che antecede di un anno il mondiale). Manifestazioni che sono giuste in favore di una salute dignitosa per tutto il popolo, di un’educazione migliore, di migliori e più efficienti (e umani) trasporti pubblici, ecc… Ma personalmente ritengo, che molto spesso in queste proteste si vede l’interesse politico nascosto: come si spiega che alcuni movimenti reclamano, scendono in piazza, bloccano strade e via di comunicazione, quando ricevono annualmente milioni di reais dal Governo Federale? Qual è realmente l’obiettivo principale? La popolazione come un tutto, o l’interesse di potere politico per poter usare ed abusare dello stesso?
Credo sia molto più onesta e vera la campagna della CNBB (Conferenza dei vescovi brasiliani), che ha creato la Rete «un grido per la vita!», proprio alla vigilia dell’inizio della Coppa, con l’obiettivo di combattere il traffico di persone, di combattere l’abuso sessuale e denunciarne i casi, sensibilizzando la popolazione ad una problematica già molto diffusa ben sapendo che nella realizzazione del mondiale «il primo colpo è contro la popolazione impoverita e vulnerabile» il che significa prima di tutto bambini, adolescenti, giovani e donne. E bisogna considerare che il traffico di persone in occasione dei grandi eventi, registra una tendenza ad aumentare.
Il Brasile sarà per la sesta volta campione del mondo (quello che pensa e crede fortemente la popolazione): vediamo quello che sarà la reazione vera della gente, di qualsiasi classe sociale, soprattutto oggi in un Brasile che non è più quello della dittatura di 30 anni fa, e nemmeno quello di una forbice enorme tra pochi ricchi e una massa di disperati. È un paese che deve crescere ancora e molto con grandi sfide, come salute per tutti, educazione di qualità, ma che oggi è composto di cittadini con uno spirito critico maggiore, con un’opinione propria sulla realtà sociale più definita, fanno veramente sperare in un futuro dove possa essere riconosciuto mondialmente non solo per le caratteristiche calcistiche, ma per un paese più giusto e ugualitario. Ed io da oggi sono bi-tifoso, della Seleção e della nostra Azzurra.
Mi riferisco all’articolo di fondo del Toscana Oggi, appena arrivatomi, a firma di Umberto Folena. Comincio subito con un episodio personale. Molti anni fa, almeno una sessantina, andai per la prima volta allo Stadio di Firenze, su invito di un amico straniero, interista. Durante la gara, un giocatore viola compì una brutta scorrettezza, ma riuscì a nascondere il fatto all’arbitro, tanto che alcuni spettatori vicini a me lo elogiarono, felici. Io li criticai. Ne venne una discussione che mi convinse che la logica della correttezza non combaciava con quella del tifo sportivo e che perciò i gradini dello stadio non mi avrebbero visto più. Ed ho tenuto la mia parola.
Premesso questo, non sarà difficile pensare che delle quattro dediche che l’amico Folena invia ai lettori – ai tifosi, ai saltuari, ai critici e agli agnostici – quella che mi riguarda è proprio quest’ultima. Bene: diciamola tutta: sono un agnostico, incorreggibile. E allora mi si potrà accusare di non capire la bellezza della competizione sportiva, l’ebbrezza della comune appartenenza ad un gruppo, una società, una compagine cittadina, che una nazione, che esulta per una vittoria o che si rode il fegato quando quel certo traversone non ha voluto infilarsi 20 centimetri più a destra di quel palo… Ma non è così. Ciò che mi rende agnostico è il vedere come un fatto in sé bello e accattivante possa trasformarsi in una Babele pazzesca gestita, sicuramente da chissà quali interessi.
C’è, tuttavia, almeno, una cosetta che mi pare positiva: per qualche ora i destinatari delle quattro suindicate dediche di Folena sentiranno il piacere casalingo di chiamare il nome materno della Patria in senso positivo e beneaugurale. Non è poco, di questi tempi.
Ringrazio Luca Bianucci, missionario laico «fidei donum» della Diocesi di Lucca, per questa sua fresca ed equilibrata testimonianza dal Brasile, un Paese che a molti di noi evoca ancora situazioni di sottosviluppo e che invece è diventato una potenza emergente (uno dei famosi Paesi «Brics», assieme a Russia, India, Cina e Sud Africa) che ha però al suo interno ancora forti contraddizioni. Questi grandi eventi di sport (penso anche alle Olimpiadi) vengono organizzati per finalità di tutt’altro tipo (prestigio internazionale, crescita economica…) e sono spesso occasioni perdute anche dal punto di vista infrastrutturale. Basti pensare a cosa è accaduto in Italia con i mondiali del 1990. Le critiche sono perciò opportune e dovrebbero costringere gli organizzatori e i governi ad una maggiore concretezza e trasparenza. Altra cosa sono invece i disordini provocati ad arte da gruppi di facinorosi. Quanto all’amico Zanardi capisco e rispetto il suo punto di vista.
Il calcio, che appassiona miliardi di persone sul pianeta, ha spesso aspetti ben poco sportivi, con i soldi che – come al solito – la fanno da padroni. Ma questi eventi – come ha sottolineato Papa Francesco in un tweet – sono grandi occasioni di fraternità e vanno vissuti con questo spirito. In un video messaggio trasmesso dalla Tv brasiliana «Rete Globo», il Papa si è augurato che questa Coppa del mondo sia, «oltre ad una festa di sport», anche una «festa di solidarietà tra i popoli». «Lo sport infatti è uno strumento – ha ricordato il Papa – per comunicare i valori che promuovono il bene della persona umana e aiutano a costruire una società più pacifica e fraterna. Pensiamo alla lealtà, alla perseveranza, all’amicizia, alla condivisione e alla solidarietà».
Quindi Papa Francesco ha indicato tre lezioni che ci vengono dallo sport, quello vero, e che dovrebbero diventare anche «una metafora della vita»: la necessità di «allenarsi», il «fair play» e il rispetto degli avversari. Perché – ha detto ancora – «nessuno vince da solo, né in campo, né nella vita! (…) E, se è vero che al termine di questi Mondiali, solamente una squadra nazionale potrà alzare la coppa come vincitore, imparando le lezioni che lo sport c’insegna, tutti saremo vincitori, rafforzando i legami che ci uniscono».
Claudio Turrini