Lettere in redazione
Paralimpiadi, boicottarle non aiuta la pace
Permettete che possa esprimere il mio civile e democratico dissenso con i dirigenti dell’Unione Europea e degli stati, purtroppo tra questi anche l’Italia, che hanno «boicottato» le paraolimpiadi della neve in Ucraina. Ho visto in televisione la cerimonia di apertura e ho visto colpiti dalla più diverse avversità della vita sfilare, ballare, muoversi reagendo con coraggio a quanto è loro capitato. Altro che boicottaggio! Avrebbero meritato di essere abbracciati uno per uno e ringraziati per quell’esempio di coraggio e attaccamento alla vita attiva dimostrati.
So bene quali contrasti ci siano in Ucraina e Crimea ma resta il fatto che il boicottaggio di questi giochi non è affatto il modo per invitare alla pace. Ma più in generale mai il boicottaggio di un gioco olimpico è un valido modo di protesta. Basta ricordare che i civilissimi greci quando ai loro tempi, duemila anni fa, «celebravano» le Olimpiadi le consideravano un rito sacro tanto che in quei giorni erano addirittura sospese tutte le guerre. Nei tempi moderni è stato l’arcivescovo di Atene a istituire le nostre Olimpiadi con la famosa frase: «L’importante non è vincere, l’importante è partecipare». Ma ricordiamoci ancora bene la conclusione della Olimpiade estiva in Cina. La sfilata finale, quando gli atleti entrarono tutti insieme nello stadio, non più divisi per squadre, nazionalità, maglie, il primo che apparve in cima al corteo fu un atleta africano che apparve facendosi il Segno della Croce. Là, nella Cina del tempo.
Sì lo so: nel 1936 Hilter approfittò a Berlino di un’olimpiade per mostrare gli aspetti più spettacolari del Nazismo. Ma poi tutti i suoi istinti razzisti furono umiliati dalla vittoria di un atleta di colore americano nella gare esaltante dei cento metri. Non aggiungo altro, tranne il ricordo di quanto valore dava allo sport il papa della mia giovinezza, Pio XII, che fece istituire una grande associazione sportiva cattolica.
Caro Nereo, sono totalmente d’accordo con te. Boicottare i giochi olimpici è tradire il senso stesso dei Giochi, che nel nome dello sport vorrebbero unire i popoli al di là delle differenze e dei contrasti tra i Paesi. I primi a farlo furono diversi stati africani nel 1976, disertando i Giochi di Montreal perché non era stata esclusa la Nuova Zelanda, colpevole di aver mandato i suoi «All blacks» in Sud Africa. Ma il caso più clamoroso fu quello di Mosca nel 1980, con ben 63 rappresentative nazionali che disertarono i Giochi, allineandosi con la decisione Usa che protestava per l’invasione sovietica dell’Afghanistan. Alcuni Paesi, come l’Italia, scelsero di aderire al boicottaggio in modo parziale (il che rese ancora più ridicola la decisione) depennando dalla lista dei partecipanti gli atleti in servizio militare. Per tutta risposta quattro anni dopo l’Urss e diversi Paesi satelliti boicottarono le Olimpiadi di Los Angeles. Si riparlò poi di boicottaggio per Pechino 2008, a causa delle ripetute violazioni dei diritti umani in quel Paese, ma fortunatamente non se ne fece di nulla. Poi sono arrivati quest’anno i Giochi invernali a Sochi con un gran dibattito negli Usa e nell’Occidente se boicottarli per protesta contro politiche russe non favorevoli agli omosessuali. Alla fine la dissociazione si è fermata a qualche assenza dei «big» mondiali alle cerimonie. Per le seguenti paralimpiadi queste dissociazioni sono state ancora più marcate dopo il precipitare della situazione in Crimea. Senza pensare che così facendo non si punisce Putin o la Russia ma migliaia di atleti disabili.
Claudio Turrini