Lettere in redazione
Giulio Andreotti: statista oppure «Belzebù»?
Non si può, pertanto, continuare a dire che Andreotti non è stato riconosciuto colpevole di vicinanza con la mafia. E non si può mettere tutti dalla stessa parte, perché così diventa impossibile educare (i giovani ma non solo) alla legalità, all’onestà, ad una politica come servizio. Una cosa perciò è il rispetto della verità e della giustizia, altra cosa è poi la misericordia di Dio, ed il rispetto di ogni uomo dopo la morte.
Pochi anni fa Giulio Andreotti fece il suo ultimo viaggio a Firenze. Raccontò quando nella sua gioventù era venuto a Firenze nella tarda primavera del 1944, con un avventuroso viaggio da Roma. Si era incontrato con amici che preparavano la vita futura della nostra città, quando di lì a poco il fronte ancora fermo a Cassino si sarebbe rimesso in moto verso il nord. Ne trovò alcuni, poi dovette ripartire in fretta, il fronte si era mosso.
Non è mai facile commentare a caldo la scomparsa di un protagonista della nostra storia. Il rischio è quello di farne un ipocrita panegirico, o – all’opposto – di liquidare tutta una vita con giudizi sommari e parziali. Sapevamo di correre questo rischio anche con Giulio Andreotti. E forse avremmo potuto fare meglio. Ma solo chi non fa non sbaglia. Giusto ricordare gli esiti dei processi, i reati prescritti, le ombre rimaste, come fanno alcuni nostri lettori. Senza però tacere anche le assoluzioni per crimini che non risulta aver commesso e che invece gli sono stati ingiustamente addebitati. Così come è da sottolineare l’atteggiamento di rispetto per la giustizia che lo ha sempre caratterizzato e che dovrebbe suonar da monito ai politici di oggi. Per un giudizio storico sereno e documentato saranno necessari degli anni. E forse qualche mistero se lo è portato per sempre nella tomba. Ma anche gli avversari di un tempo gli riconoscono una «statura» oggi difficile da trovare nella classe politica che ci governa. Sarà esagerato collocarlo tra i grandi statisti del secolo scorso, ma è anche riduttivo e ingiusto presentarlo come «Belzebù».
Claudio Turrini