Lettere in redazione
Evasione fiscale e redditometro
L’evasione fiscale in Italia supera, secondo gli esperti, i cento miliardi di euri all’anno. Allora se queste cifre sono vere e lo saranno certamente, è in questo campo che i prossimi governi dovranno impegnarsi seriamente, perché una soluzione anche parziale del fenomeno risolverebbe gran parte dei nostri problemi economici. Tutti ne parlano ma di fatto, almeno finora, questo aspetto per motivi diversi è stato soltanto sfiorato.
Tra pochi giorni entrerà in vigore il redditometro, cioè uno strumento mediante il quale attraverso un complesso di dati dovrebbe permettere al fisco di verificare l’attendibilità o meno delle dichiarazioni dei redditi di alcuni cittadini. Personalmente lo ritengo molto ferraginoso e di poca sostanza: si basa su accertamenti che richiedono tempo e lungaggini burocratiche e i controlli si ridurranno a pochi casi, inoltre potrebbe creare un clima di diffidenza e contrapposizione tra fisco e cittadini da evitare. Comunque per stanare i grandi evasori può essere utile. Gran parte di noi cittadini, chi più a chi meno, siamo stati o siamo piccoli evasori fiscali, quando facciamo lavori e fatturiamo a meno, oppure quando paghiamo certe spese mediche accentando sconti in cambio di non emettere scontrini ecc. Queste piccole evasioni moltiplicate per milioni di cittadini assumono dimensioni grandi a scapito dello Stato. Allora per eliminare o quasi questa situazione è necessario studiare un meccanismo che, senza trascurare quello che gli uffici predisposti allo scopo stanno già facendo, sia conveniente per la stragrande maggioranza dei cittadini contribuenti, affinché loro stessi siano interessati a combattere l’evasione. In tal caso, automaticamente si creerebbe un sistema valido e concreto ma soprattutto vasto antievasione.
Il redditometro con l’onere della prova dovrebbe essere applicato in primis allo Stato che non riesce a darsi quelle riforme strutturali indispensabili per uno Stato moderno.
Condivido quanto scrive l’amico abbonato. In Italia l’evasione fiscale è un cancro antico, spesso tollerato e giustificato anche dai politici. Sottrae ogni anno alle casse dello Stato qualcosa come 180 miliardi di euro, ponendoci al terzo posto nel mondo per evasione fiscale, dopo Russia e Brasile. E spinge anche lo Stato ad aumentare le tasse a chi le paga già, mettendoci anche qui ai primi posti al mondo per pressione fiscale. Secondo una ricerca condotta da contribuenti.it, una parte di questa cifra enorme (attorno agli 80 miliardi) è data dall’economia criminale (sotto il controllo di mafia, camorra…), che ovviamente è da contrastare anche per altri motivi, anche se difficilmente si trasformerà in economia «regolare». C’è poi l’economia sommersa, di chi svolge un lavoro al nero (circa 34,3 miliardi di euro), la mancata emissione di scontrini e ricevute fiscali (8,2 miliardi), l’evasione delle società di capitali (22,4 miliardi) e quella delle «big company» che spostano costi e ricavi tra le società del gruppo per avere vantaggi fiscali.
Non facciamoci illusioni: non è un fenomeno facile da estirpare, perché è penetrato dentro la nostra mentalità. Ma la strada per combatterlo non può passare da misure vessatorie che impongano sempre al cittadino l’onere della prova, tra l’altro in contrasto con lo «statuto del contribuente» (legge n. 212 del 27 luglio 2000) che limita il ricorso a questa pratica, vietando ad esempio all’Amministrazione di richiedere documenti già in suo possesso. Occorrono misure che inducano il cittadino a comportamenti virtuosi. «Scaricare tutto tutti», come proponeva uno slogan di qualche anno fa, non è percorribile. Ma in alcuni Paesi si documentano tutte le spese perché poi vengono estratti a sorte ogni anno dei settori per i quali le detrazioni sono ammesse.
Claudio Turrini