Lettere in redazione
Imu e redditometro, qual è la verità?
Chiedo al settimanale una doppia operazione verità per aiutare i lettori a conoscere e a valutare. In questa campagna elettorale gli opposti schieramenti affermano tutto e il contrario di tutto e al cittadino, impossibilitato ad attingere alle fonti, resta una confusione mentale. Chiedo pertanto una breve sintesi della legge relativa al federalismo fiscale, in particolare se si prevedeva l’Imu sulla prima casa, elaborata dal governo Berlusconi. Ciò per sapere se l’imposizione Imu alla prima casa approvata dal governo Monti è stata una semplice anticipazione (come sostengono alcuni esponenti politici), oppure una vera nuova tassa (come sostengono altri esponenti politici). Chiedo inoltre le principali differenze, qualora sussistano, tra il redditometro concepito dal governo Berlusconi e il redditometro attuato dal governo Monti. Ciò perché gli esponenti di opposti schieramenti si contraddicono a vicenda e la verità viene nascosta. Quanto sopra ritengo serva a ristabilire la verità e a operare responsabilmente.
In realtà hanno ragione tutti, o forse sarebbe meglio dire che hanno torto tutti. Perché i due provvedimenti tanto contestati e dai quali oggi, in campagna elettorale, tutti sembrano voler prendere le distanze, sono stati varati ai tempi del governo Berlusconi, ma poi applicati durante il governo Monti.
Partiamo dall’Imu. Fu introdotta dal decreto legislativo n. 23 del 14 marzo 2011, prevedendone l’entrata in vigore dal 2014 e solo per gli immobili diversi dall’abitazione principale. Il ricavato sarebbe dovuto andare interamente ai Comuni. È stato Monti ad anticiparne l’entrata in vigore a titolo sperimentale nel 2012, ad estenderla anche alla prima casa e ad aumentarne sensibilmente la base imponibile rispetto alle vecchie rendite catastali. Però anche questa non è tutta la verità. Il decreto legge n. 201 del 6 dicembre 2011 è stato votato anche dal Pdl (al Senato 257 sì e 41 no; alla Camera 402 favorevoli e 75 contrari). Troppo facile adesso darne tutta la colpa a Monti. Anche perché Berlusconi, poco prima di dimettersi, aveva preso l’impegno con Bruxelles di anticipare al 2013 il pareggio di bilancio che è poi la causa vera dell’appesantimento della patrimoniale sulla casa.
Anche il nuovo «redditometro» fu voluto dall’allora ministro dell’economia Giulio Tremonti, con l’articolo 22 del decreto legge 31 maggio 2010 n.78 per sostituire quello entrato in vigore dopo il decreto del Presidente della Repubblica n. 600, del 29 settembre 1973, ritenuto un po’ da tutti come ormai inefficace. Da quel quadro normativo deriva l’attuale redditometro, la cui presentazione alle parti sociali fu annunciata come imminente dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate Attilio Befera, davanti alla commissione Finanze del Senato, il 12 ottobre 2011, quando ancora a Palazzo Chigi c’era Berlusconi. Certo, si potrebbe obiettare che a Camere già sciolte (24 dicembre 2012) il ministero dell’Economia poteva aspettare a pubblicare il decreto di sua competenza lasciando al suo successore la «patata bollente».
Dietro a queste polemicucce elettorali sta però un dato di fatto incontrovertibile: il governo Berlusconi, che aveva avuto il mandato dagli elettori, si è dimesso il 13 novembre 2011, dopo l’approvazione della legge di stabilità, senza neanche un voto di sfiducia del Parlamento. E in quella stessa sera con una nota, l’Ufficio di Presidenza del Pdl «approvava la proposta del presidente, Silvio Berlusconi, e del segretario politico, Angelino Alfano, di dichiarare al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, la disponibilità al conferimento dell’incarico al senatore Mario Monti per la formazione di in governo tecnico». Da quel momento il governo Monti ha preso una serie di misure, in gran parte «obbligate» (per gli impegni presi dal suo predecessore), sempre contando sul sostegno di Pdl, Pd e Udc. Quando il segretario Alfano, in un discorso alla Camera, ha dichiarato «conclusa l’esperienza» del Governo tecnico, Mario Monti si è dimesso. Troppo facile adesso per il Pd e il Pdl rinnegare totalmente i provvedimenti presi dal governo Monti.
Claudio Turrini