Lettere in redazione

Scuole paritarie, l’ingiustizia dell’Imu

Nel regolamento del ministero dell’Economia si legge che le scuole paritarie non pagano l’Imu se «l’attività è svolta a titolo gratuito». Considerando che nessun insegnante della scuola paritaria può lavorare a «titolo gratuito», come la bolletta del gas per il riscaldamento delle aule non potrà essere «simbolica», non so se ridere o piangere. È noto che i contributi statali per questo genere di scuola sono davvero «simbolici» e le modeste rette servono a coprire una minima parte delle spese.

Molte scuole sono già in crisi e l’eventuale applicazione dell’Imu significherebbe la chiusura totale, con la perdita del posto di lavoro per gli insegnanti e la libertà di scelta educativa per le famiglie. Da non sottovalutare che le scuole paritarie fanno risparmiare allo Stato 7 milioni di euro all’anno, una realtà significativa in momenti di crisi come questi. C’è chi si appella alle direttive europee sulla concorrenza (ma chi può danneggiare una scuola?) e si dimentica che in altri paesi Europei i docenti delle scuole pubbliche non statali sono stipendiati dallo Stato.

Billy Sartiindirizzo email

Aggiungo che in Italia è in vigore una legge (n. 62 del 10 marzo 2000), che a fronte del riconoscimento di far parte a pieno diritto del «sistema nazionale di istruzione», impone alle scuole paritarie una serie di stretti vincoli, come ad esempio il divieto di utilizzare per più di «un quarto delle prestazioni complessive», personale docente volontario. Quindi siano al paradosso: lo Stato ti obbliga ad accogliere handicappati (con quello che comporta in termini di costi aggiuntivi), ad avere le strutture a norma, ad assumere i docenti, ma ti esenta dall’Imu solo se non percepisci rette dagli studenti. E poi dove sarebbe la concorrenza? Le scuole statali sono esenti dall’Imu e sostanzialmente gratuite. Purtroppo in questo Paese i pregiudizi ideologici sono duri a morire. E dispiace vedere che dei giudici, quelli del Consiglio di Stato, ne siano così pervasi. Altrimenti perché avrebbero sostenuto nel loro recente «parere» (sulla scorta del quale è stato poi varato il «Regolamento»), che tutte le prestazioni di servizi che abbiano un corrispettivo economico devono essere considerate fiscalmente commerciali e quindi non possono essere in alcun modo agevolate? Ci si rende conto della gravità di questa affermazione?

Claudio Turrini