Ero un ragazzo quando l’Italia entrò in guerra nel 1940 e cominciarono i bombardamenti sulle città. Ricordo benissimo che nei primi mesi di guerra e poi per breve tempo nell’inverno del 1942 in alcune città e paesi dell’Italia del Nord furono trovati piccoli ordigni esplodenti che provocarono il ferimento di alcuni bambini. Di solito erano penne stilografiche che esplodevano appena qualche ragazzo tentava di svitarne il coperchietto.Fu dato l’allarme e furono pubblicate anche alcune foto di oggetti rimasti inesplosi. In un primo momento, come era ovvio, la scoperta dei piccoli ordigni fu usata come arma di propaganda contro chi compiva le incursioni aeree. Si sospettava che gli aerei lanciassero queste micidiali trappole. Ma ci si rese conto che nessun ordigno sarebbe rimasto intatto con il lancio da un aereo. E allora? Le opinioni furono varie ma intorno al 1942 le scoperte cessarono e nessuno ne riparlò neppure a guerra finita, quando il pericolo erano bombe e mine inesplosi molto più micidiali.È inquietante il fatto che «unabomber» agisca più o meno nello stesso territorio. Inoltre la preparazione di questi ordigni richiede mezzi e conoscenze tecniche a disposizione di ben pochi esperti. Che pensare? Escluso che «unabomber», dato il tempo, sia la stessa persona di allora (avrebbe almeno ottanta anni!) resta la possibilità che qualcuno abbia messo mano sull’arsenale di chi allora produceva questi ordigni in miniatura. Può essere una traccia in più per i magistrati inquirenti?Paolo AugustiFirenzeLa curiosità di un «precedente» storico è interessante, ma non credo ci porti molto lontano nella ricerca del colpevole. Non solo per ragioni anagrafiche, come giustamente si dice nella lettera, ma anche perché gli esplosivi usati finora non sembrano compatibili con materiale bellico proveniente dalla seconda guerra mondiale.Spero proprio di sbagliarmi, anche perché spesso in questa storia ci sono andati di mezzo le persone più indifese, come i bambini, ma ho l’impressione che gli inquirenti nonostante l’ottimismo sfoderato anche di recente siano ancora lontani dalla verità. L’unica è sperare in un passo falso di questo psicopatico che ha ingaggiato una vera e propria sfida agli investigatori. Magari, come accadde per il vero «Unabomber», quel Theodore John Kaczyinsky, che negli Stati Uniti d’America fu riconosciuto dal fratello dopo la pubblicazione sul «Washington Post» di un suo delirante «manifesto», inviato agli investigatori. Il nome «Unabomber», usato ormai comunemente anche per il terrorista italiano, è un acronimo inventato dalla polizia americana, dove«Un» sta per «università e «a» per «airline», cioè «compagnia aerea». Kaczyinsky, che fu arrestato il 3 aprile 1996, seminò infatti il panico nell’ambiente scientifico-universitario dal 1978 fino all’inizio degli anni novanta. E per i mass media americani divenne immediatamente l’imprendibile «Unabomber», l’uomo che si prendeva gioco della più famosa polizia del mondo. Finché non lo presero.Claudio Turrini