Caro Direttore,vorrei dire la mia a proposito dell’intervento di monsignor Giorgetti pubblicato sul numero 26 del 3 luglio, con la sua proposta di ordinare presbiteri i diaconi permanenti. L’idea di per sè di avere dei preti sposati non deve certo scandalizzare, ricordiamoci che l’obbligo di celibato per i preti cattolici di rito Romano risale al 1139, se la memoria non mi inganna, dunque per 11 secoli su 20 è stato del tutto normale vedere preti sposati. E poi, come ha ricordato anche Giorgetti, dove la Chiesa cattolica è presente con riti diversi (non solo i greco-melkiti, ma anche uniati, caldei, maroniti, cattolico-copti ecc…) è attualmente in vigore la possibilità di ordinare presbiteri degli uomini sposati.Il problema, secondo me, è che così facendo più che aumentere il numero dei preti si aumenterebbe il numero dei divorzi. Mi spiego meglio: può darsi che voi che conoscete i numeri mi smentirete, ma nella mia esperienza ho incontrato sempre diaconi dai 60 anni in su, come mai? Mi rispondo che forse soltanto in età da pensione, raggiunta o prossima, e con i figli già indipendenti, è possibile conciliare diaconato e famiglia: se un marito e babbo sta già fuori di casa tutta la settimana per lavoro e quando torna ha anche altri impegni, quando ci sta con la famiglia? Allora forse, e questa è l’idea che volevo lanciare, il primo passo potrebbe essere quello di inserire i diaconi, o almeno un gruppo di loro volontari, nel programma di sostentamento al clero, ovviamente rinunciando al loro lavoro «civile» e dedicando così la loro vita interamente al servizio alla Chiesa, sia quella locale sia quella domestica. Bisognerà anche vedere se questo potrà essere economicamente sostenibile (perché è ovvio che la cifra che basta a un celibe per vivere decorosamente, non può bastare a chi ci deve mantenere per lo meno i figli – se la moglie lavora, altrimenti anche la moglie).Giacomo GradoniAntella (FI)Del celibato ecclesiastico e dell’opportunità per la Chiesa di mantenerlo se ne discute sui giornali per lo più quando vengono alla ribalta episodi dolorosi. E spesso lo si fa con una superficialità che finisce per ferire i tantissimi sacerdoti convinti e fedeli alla loro scelta. Non è certo questo l’atteggiamento con cui lei, caro Gradoni, interviene in riferimento all’ipotesi formulata sul n. 25 dell’amico mons. Giorgetti.Dico subito che, a mio parere, riflettere e anche dibattere il problema è importante, sempre però in spirito di fede e con amore alla Chiesa di cui ogni battezzato è parte viva e responsabile, e soprattutto con le necessarie conoscenze.In questo può aiutarci il Decreto conciliare sul Ministero e la vita sacerdotale («Presbyterorum ordinis») del dicembre 1965 che al punto 16 affronta e chiarisce gli aspetti teologici, storici e pastorali del celibato dei preti. Dopo aver precisato che il celibato «non è richiesto dalla natura stessa del sacerdozio come risulta evidente dalla prassi della Chiesa primitiva e dalla tradizione delle Chiese cattoliche di rito orientale, nelle quali, vi sono anche degli eccellenti presbiteri coniugati», si dichiara che esso «abbracciato e considerato come una grazia, è sempre stato considerato dalla Chiesa come particolarmente confacente alla vita sacerdotale». In questo modo infatti i presbiteri «aderiscono più facilmente a Cristo con cuore non diviso, si dedicano più liberamente al servizio di Dio e degli uomini, servono più prontamente il suo regno e si dispongono meglio a ricevere una più ampia paternità in Cristo».«Per questi motivi il celibato, che prima veniva raccomandato ai sacerdoti, è stato imposto per legge nella Chiesa latina a tutti coloro che si avviano a ricevere l’ordine sacro». E «questo sacrosanto sinodo torna ad approvare e confermare tale legislazione». E si sottolinea un aspetto interessante: «i presbiteri, che con la grazia di Dio che mai è negata a chi la chiede sono fedeli al loro celibato, possono essere un segno per il mondo d’oggi in cui la perfetta continenza viene considerata impossibile».Questi ci sembrano spunti chiari e autorevoli per ogni approfondimento sia personale che comunitario.