Caro Direttore,poiché la formazione di un «partito di centro» fa tanto discutere a destra come a sinistra, è segno che risulta essere un’idea-forza di grande rilevanza politica. L’esperienza del passato insegna che quando un’idea di rinnovamento risulta ragionevolmente giusta, tutti tentano di ostacolarla perché non si realizzino quelle condizioni di reale cambiamento politico e sociale del nostro Paese.Il partito di centro non sarà certo una riedizione del vecchio partito della Democrazia Cristiana, anche se con tutti i difetti e le debolezze degli uomini che la componevano, ha fatto comunque tanto bene a questa benedetta Italia. Forse è per la debolezza dei suoi uomini e non certo per i suoi principi e i suoi valori di ispirazione evangelica che la Democrazia Cristiana ha dovuto affrontare e subire il giudizio della storia e degli uomini.A chi mette paura una «nuova Democrazia Cristiana» se rinascesse proprio da quei valori cristiani a difesa della vita e della famiglia? La risposta per me è ovvia, quasi banale: fa paura alla nuova cultura dominante (il cosiddetto «multiculturalismo») perché impregnata di false libertà e di tanto relativismo etico e religioso. Il Bipolarismo, come forza di governo, ha dimostrato i suoi limiti. Esso, purtroppo, genera coalizioni molto eterogenee (a volte anche con discutibili valori etici e morali) e una proliferazione abnorme di piccoli partiti a svantaggio di coalizioni più omogenee. Allora ben venga un «partito di centro» di ispirazione cristiana capace davvero di fare quelle necessarie riforme strutturali di cui ha tanto bisogno questa nostra Italia. Antonio CusanoFirenze redo sia difficile negare, caro Cusano, che «il bipolarismo», come forza di governo, abbia dimostrato tutti i suoi limiti».Ma non il bipolarismo in sè, che funziona egregiamente in molti Paesi, ma quello che si è realizzato in Italia. Anzi, ad esser precisi, noi dovremmo parlare, più che di bipolarismo, di due cartelli elettorali, che si sono formati tra raggruppamenti politici diversi, e per molti aspetti antitetici per storia, cultura, visione antropologica, che si uniscono per vincere le elezioni, ma che una volta ottenuto il consenso si trovano in difficoltà, spesso nell’impossibilità di governare, proprio per le differenze che caratterizzano queste nostre coalizioni. Come è stato acutamente detto: «in Italia non è difficile vincere, ma governare».Ne è prova il dibattito, o piuttosto lo scontro, che anche in questi giorni caratterizza i due schieramenti e che conosce un’asprezza che poco si addice ad alleati… presenti e futuri!In questo quadro è ricorrente l’idea-progetto di un grande raggruppamento tra forze omogenee che si collochi al centro e sia in grado di riportare nella politica italiana serenità, ma che soprattutto permetta quell’incisiva azione di governo di cui l’Italia ha veramente bisogno. È possibile e in tempi brevi? È difficile dirlo perché questo dovrebbe passare da una scomposizione-ricomposizione dei due Poli. La possibilità poi di un centro autonomo dai due schieramenti è ostacolata dall’attuale legge elettorale che obbliga a convivenze forzate, almeno che qualcuno per primo non rompa lo schema, costi quel che costi. In tutto questo però c’è una considerazione che appare opportuna e che è molto triste.L’attuale dibattito politico, al di là degli eventuali possibili contenitori, che son pur sempre degli strumenti, si caratterizza, ovunque si guardi, per una carenza di progettualità, di quella visione ampia dei problemi che anima e vivifica poi l’azione politica, che altrimenti si riduce a navigazione a vista e a gestione del potere. Questa è la vera crisi della politica italiana.