Lettere in redazione

L’export di armi e la pubblicità

Un mese fa, in occasione della marcia per la pace Perugia-Assisi vi scrissi una mia osservazione. Sulla Cisa-Livorno una colonna di autocarri militari trasportava materiale esplosivo! Non ho avuto il piacere di veder pubblicata la mia lettera che denunciava lo sconvolgente commercio d’armi che lo Stato italiano fa a danno delle popolazioni mediorientali ed a favore degli Usa. So bene che per i toscani queste scene sono scontate a causa del famigerato Camp Darby in quel di Pisa, ma io penso che segnalare di tanto in tanto le malefatte del nostro governo potrebbe aprire gli occhi a coloro che ancora credono in Berlusconi! A meno che la «longa manu» del nostro Capo di governo non abbia irretito pure il vostro giornale. Si dice che egli sia temuto perché può dare e togliere la pubblicità, fonte, come noto, di tanto danaro. Se nemmeno questa lettera sarà pubblicata, non rinnoverò più l’abbonamento.Luciano CairatiCassano Adda (Mi) Tra i «diritti» di un lettore c’è ovviamente anche quello di non rinnovare l’abbonamento, senza dover per questo render conto a nessuno. Ma spero che lei si sia abbonato al nostro settimanale per motivi un po’ più seri che non il vedere pubblicate le sue lettere. In questa pagina ne scegliamo settimanalmente due o tre, anche per corredarle quando possibile di una risposta. In un anno si arriverà a 150 lettere al massimo. Se lo immagina se le migliaia di nostri lettori ci ricattassero tutti con quel suo «o la pubblicate o non rinnoverò più l’abbonamento»? Detto questo e dopo averla rassicurata che non temiamo affatto di perdere la pubblicità di Berlusconi, anche perché non ne abbiamo mai avuta dalle sue aziende, vengo alla sua indignazione per quel trasporto di materiale esplosivo che lei ha visto mentre si recava alla marcia per la pace, ad Assisi. Non so da cosa abbia dedotto che fosse destinato al Medio Oriente (dove nel 2004 è finito il 3% dell’export). Se transitava su autocarri militari, con tanto di cartelli, presumo che fosse diretto piuttosto a qualche nostra base militare. Ma il problema che lei pone è comunque importante. Secondo la «Relazione» trasmessa annualmente al Parlamento, nel 2004 l’export italiano di armamenti è aumentato del 16% rispetto al 2003, raggiungendo la cifra di 1,5 miliardi di euro. L’80% di queste esportazioni – sempre secondo il nostro governo – riguardano l’area dei Paesi Nato-Ue: Regno Unito (15,5%), Norvegia (13,3%), Polonia (8,9%), Portogallo (8,5%), Stati Uniti (6,5%) e Grecia (5,7%). Ma seppure con quote minori figurano anche paesi con problemi di rispetto dei diritti umani (Malaysia), o che sono in situazioni di tensione con i vicini (come India e Pakistan). Su questo commercio «legale», regolamentato da una legge (la 185/90) che qualche paletto fortunatamente lo mette, credo occorra vigilare molto e non ci sia da rallegrarsi se in tempi di crisi per tutto, questo settore invece «tira». Ma anche chi è un convinto pacifista e sogna un mondo dove non si fabbrichino più armi, deve riconoscere che da nessuna parte, neanche nello Stato del Vaticano, si è potuto rinunziare per ora a una qualche forma di dissuasione armata. E dipendere totalmente da altri paesi non mi sembra una scelta assennata.Claudio Turrini

Il sito della Campagna Banche armate

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