Caro Direttore,sono abbonata da qualche tempo al vostro settimanale, che apprezzo. Vi scrivo per la rubrica «Diario di un prete di città» di don Francesco Sensini del 13 novembre 2005. Sono rimasta stupita e delusa da ciò che scrive il sacerdote riguardo i motivi per i quali la Chiesa esclude i divorziati risposati dai sacramenti. La rubrica di un settimanale cattolico non è proprio un pulpito, ma certamente contribuisce a informare, formare, orientare i lettori. E non tutti, tra loro, hanno il tempo, la possibilità, il desiderio di approfondire la teologia. Il disorientamento personale di don Sensini rischia pertanto di non restare tale, ma di essere esteso a quanti, non avendo appunto il tempo o gli strumenti culturali per avvicinarsi ai documenti ufficiali, si fidano del suo «abito» e magari ne condividono il disappunto. Un settimanale cattolico serio dovrebbe, a mio avviso, pur parlando il linguaggio della gente comune, dare un contributo davvero informativo-formativo.Se don Sensini ha dei dubbi sulle motivazioni che inducono la Chiesa a escludere i divorziati risposati dai sacramenti potrebbe, ad esempio, cercare di fugarli attraverso una ricerca personale, magari con l’aiuto di testi adeguati, e poi sarebbe magari in grado di chiarire la faccenda anche ai non addetti ai lavori. Questa via è senz’altro più impegnativa, più scomoda, meno alla moda; ma sarebbe un atteggiamento assai coerente con la fede professata e con l’abito indossato. I divorziati risposati non vengono esclusi dai sacramenti per una sofferenza fine a se stessa; ma vi sono ragioni molto precise, coerenti con tutto il messaggio evangelico. E chi parla è sposata civilmente con un uomo precedentemente sposato con rito religioso e poi divorziato.Beatrice LenziPisaE’ vero, gentile signora Beatrice, che «un settimanale cattolico deve contribuire a informare e orientare» soprattutto su quei temi che vengono troppo spesso affrontati e dibattuti in maniera disinvolta: e certamente la posizione nella Chiesa dei divorziati risposati è uno di questi. Il problema è stato da noi affrontato più volte e ultimamente, in occasione del Sinodo sull’Eucarestia, con un’intervista a mons. Simone Giusti (n. 38 del 30 ottobre 2005). Don Sensini in un colloquio vero, o verosimile, riporta e condivide il disagio e la sofferenza di un amico e spesso è sofferenza vera e non mi sembra affatto che «manifesti dubbi sulle motivazioni che inducono la Chiesa a escludere i divorziati dai sacramenti». Motivazioni del resto chiaramente espresse nel «Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica», che al can. 349, citando Matteo 10, 11-12, dice che «la Chiesa non può riconoscere come matrimonio l’unione dei divorziati risposati civilmente. Essi non possono ricevere l’Assoluzione sacramentale né accedere alla Comunione eucaristica né esercitare certe responsabilità ecclesiali finché perduri tale situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio». Il problema però resta e interpella sul piano pastorale, perché queste persone sono pur sempre membri della Chiesa e verso di loro «si deve attuare un’attenta sollecitudine» (stesso can. 349).Nel recente Sinodo dei Vescovi se ne è discusso a lungo e i Padri hanno formulato proposte che ora sono all’attenzione di Benedetto XVI che è del resto ben consapevole che «è un problema doloroso particolarmente per quanti erano sposati in Chiesa ma non erano veramente convinti e lo hanno fatto per tradizione e poi, trovandosi in un nuovo matrimonio, non valido, si convertono, trovano la fede e si sentono esclusi dal Sacramento» (discorso al clero della Val d’Aosta 25 luglio 2005). Il Papa ricorda inoltre e questa è bussola per ognuno di noi che «nessuno, anche se non può andare alla Comunione sacramentale, è escluso dall’amore della Chiesa e dall’amore di Cristo».