La notizia dell’impiego della «pillola abortiva» nell’Ospedale F. Lotti di Pontedera ha sollevato discussioni e polemiche. Premetto che sono del tutto contrario all’aborto con qualunque mezzo procurato. Nell’occasione condivido e apprezzo l’atteggiamento dell’arcivescovo di Pisa, mons. Plotti, che teme, oltretutto, la «banalizzazione dell’aborto» e scarso rispetto delle regole circa l’utilizzo della pillola RU486, ma anche il pensiero dell’assessore regionale per il diritto alla salute, Enrico Rossi, che dice «fino a che esisterà la legge 194 nessuno potrà impedire a una donna e a un medico di scegliere la metodologia migliore, medica o chirurgica che sia». Cosa non condivido, invece, è l’atteggiamento di alcuni che si sono stracciati le vesti fino a vergognarsi di essere cittadini pontederesi, come non sapessero che nel nostro Ospedale vengono praticati un numero elevato di aborti all’anno (forse un migliaio?). Piuttosto mi sembrerebbe il momento che noi cattolici praticanti dessimo nuovo impulso all’attività di difesa della vita nascente, magari anche con l’attivazione di consultori cattolici e di iniziative concrete in favore delle donne attuando una seria e consapevole prevenzione all’aborto.Un abbonatoSono d’accordo con lei. Scandalizzarsi per l’uso della Ru486 pur con tutte le riserve mediche ed etiche su questa metodica è un’ipocrisia, dal momento che l’aborto è comunque consentito dalla legge. Però questa improvvisa voglia di «aborto chimico» lascia molti dubbi sulla effettiva volontà di limitare al massimo il ricorso all’aborto, come invece proclama la legge 194. E utilizzare la normativa che permette alle Asl di acquistare all’estero farmaci non registrati in Italia per usare la Ru486 mi sembra poco corretto.Claudio Turrini