Lettere in redazione

Referendum, dopo si riprenda il dibattito

Ogni opinione merita rispetto, e tutti hanno il diritto di manifestare la propria. Il vostro editoriale e le due intere pagine sull’argomento mi sembrano esaustive ed equilibrate, cercando di dare informazioni in modo da consentire ai votanti di farsi un’opinione ragionata e responsabile.A tutti, penso, è chiaro che se la partecipazione al voto sarà eguale a quella delle ultime amministrative (o, peggio a quella delle ultimissime tornate ai ballottaggi) con l’aggiunta dell’assenza del limite di un numero minimo di votanti, il rischio di avere un voto, qualunque sia il risultato, che lascerà la bocca amara a qualunque dei due schieramenti sarà sconfitto dal voto. Personalmente non riesco a vedere saggezza nell’avere rimosso il «quorum» da un voto nel quale si chiede conferma o bocciatura di una votazione parlamentare coinvolgendo tutto l’elettorato, ma si tratta solo dell’opinione di un non addetto ai lavori.

Don Enrico Chiavacci ha diritto di esprimere la sua opinione, anche se quanto compare nella vostra citazione mi lascia perplesso, perché il dire che «la Chiesa Italiana non può dichiararsi neutrale di fronte allo scardinamento di una Costituzione», potrebbe essere interpretato come una presa di posizione della Chiesa Italiana, mentre sono sollevato nel pensare che l’opinione di don Chiavacci rimane un’espressione rispettabile e convinta, ma personale, dalla quale dissento, quindi voterò sì.

Sono lieto di vedere entrambi i gruppi concordi nel chiedere che qualunque sia l’esito del referendum, non si interrompa il dibattito sulle riforme costituzionali: ricordiamoci di queste parole per chiedere dal 27 giugno 2006 , ad entrambi gli schieramenti di rispettare quanto oggi, per indurre a votare, si sono impegnati di fare dopo la votazione.Piero CavalcaselleFigline Valdarno Trovo la lettera di Piero Cavalcaselle molto equilibrata. In effetti – anche in questo caso – era nostra intenzione aiutare i lettori a farsi un’opinione motivata e personale su una questione che è opinabile, perché investe la tecnica costituzionale. Questo non vuol dire – lo ripetiamo – che la posta in gioco sia di poco conto. Tutt’altro. Ma non serve richiamare in astratto i grandi valori, quanto ragionare con pacatezza sulle scelte concrete, sulle possibilità di funzionamento delle istituzioni. Con un occhio di riguardo anche al metodo seguito, che in questo campo diventa «sostanza». Quanto alla mancanza del «quorum», è la nostra Costituzione (art. 138) a non prevederlo per i referendum confermativi di modifiche costituzionali, a differenza, invece, di quelli abrogativi (art. 75). Credo che la scelta nasca dalla volontà di avere comunque un esito valido del voto, mentre nel caso di referendum abrogativi – come abbiamo spiegato più volte lo scorso anno, in occasione di quello sulla fecondazione assistita – i costituenti hanno previsto anche il caso in cui gli elettori non ritengano rilevante o votabile il quesito proposto. La Chiesa italiana – intesa come Gerarchia e organismi tipicamente ecclesiali – ha scelto di non dare indicazioni di voto al referendum del 25 e 26 giugno, ma solo di sollecitare alla partecipazione. Mi sembra una decisione saggia, sulla quale don Chiavacci esprime il suo dissenso, che noi ci siamo limitati a registrare.Claudio TurriniReferendum, è alta davvero la posta in giocoReferendum sulla Costituzione, guida al votoDon Chiavacci: Votare «no» è un dovere morale