Lettere in redazione
Eutanasia e accanimento terapeutico
Un tempo, quando la tecnologia non si era ancora impossessata della nostra vita, dalla nascita alla morte, Piergiorgio Welby sarebbe già morto da molto tempo in modo naturale, senza bisogno di ricorrere all’eutanasia per porre fine a una vita che vita più non è. Questo per dire che è l’accanimento terapeutico che mette le persone in situazioni talmente insostenibili da chiedere di porre fine alla propria esistenza.
D’altra parte, per quanto riguarda i malati terminali, la scienza, la medicina in particolare, dovrebbe approfondire la ricerca su farmaci che leniscono il dolore per venire incontro alle tante, terribili sofferenze di questi malati. Tanti anni fa la morte era vissuta in altro modo: si accompagnava il morente verso la fine nel proprio ambiente, con l’affetto dei parenti intorno per aiutarlo in quell’incontro che è il più importante di tutta la vita. Tutto avveniva naturalmente e si lasciava che il malato morisse in pace quando era il suo momento.
Ora invece si riesce, con l’aiuto di meccanismi disumani, a mantenere in vita per anni malati che altrimenti avrebbero già raggiunto il loro incontro col destino. Ma a chi giova tutto questo? Non ai malati, tant’è che invocano sempre più spesso l’eutanasia. Che sorta di angoscia deve esserci in chi chiede alla società di sopprimerlo!?