Lettere in redazione

Quell’antenna sul campanile della chiesa

L’intera comunità della mia parrocchia ha appreso, casualmente, da uno stelloncino apparso sulla stampa cittadina – grazie alla segnalazione di un Consigliere comunale – che sul campanile della chiesa era in corso l’installazione di una antenna per la telefonia mobile da «nascondersi fra le campane». In merito all’abbinamento fra il simbolo ecclesiastico per antonomasia e l’emblema del consumismo, quale, di fatto, è diventato il telefonino mi sono posto alcune domande. Se sia opportuno (anche se congruamente compensato) concedere i campanili per tale destinazione. Se sia giusto il mancato preavviso alla comunità parrocchiale. Se, infine, per tale impegno sia previsto il consenso preventivo della Diocesi.Andrea JardellaLivorno Nel nostro paese si va sempre più diffondendo la cosidetta «sindrome Nimb» (Not In My Backyard, «non nel mio giardino»). Nessuno ormai accetta vicino a casa sua una qualche istallazione di servizi di utilità pubblica, anche se questo non comporta rischi o sacrifici particolari. Quegli stessi servizi – intendiamoci – che poi si pretendono dallo Stato o dal Comune. Quello delle antenne per la telefonia mobile ne è un esempio. Nessuno rinuncia al cellulare e magari protesta per la scarsa «copertura» in certe zone. Ma tutti guardano con diffidenza, se non con odio, le necessarie antenne. Detto questo, sono però convinto che ci debbano essere delle regole (regolamenti comunali e controlli sui livelli di inquinamento elettromagnetico) e che un parroco non possa disporre liberamente del campanile della sua chiesa, che è un «bene» inalienabile di tutta la comunità. E, come minimo, dovrebbe chiedere il parere al suo consiglio pastorale. Del resto, proprio per porre un argine ad un uso sconsiderato dei campanili, la Conferenza episcopale italiana ha invitato il 4 dicembre 2000 tutti i vescovi italiani a non autorizzare nuove installazioni e a provvedere immediatamente alla rimozione delle antenne già installate. Da allora un po’ di freno è stato messo, anche se episodi come quello denunciato dall’amico livornese (dove, mi risulta, il parroco attuale si trova a dover rispettare un contratto stipulato dal suo predecessore) accadono ancora.C’è anche da dire che in molti contesti urbani i campanili si prestano meglio di ogni altro edificio a questo tipo di istallazioni. Ne è una riprova il protocollo firmato pochi mesi fa tra la Diocesi e il Comune di Venezia, per il quale il Patriarcato ha ottenuto una speciale autorizzazione della Cei. In un contesto urbano come quello, infatti, i campanili «sono le sole strutture architettoniche che emergono in altezza rispetto all’edificato, garantendo così sia una maggiore diffusione del segnale sia un minore impatto con l’area circostante». «L’installazione degli impianti radiobase, che potrà avvenire soltanto dopo aver ottenuto tutte le autorizzazioni previste dalla normativa, – si legge nel comunicato stampa del Comune di Venezia – non dovrà in alcun modo incidere sull’uso di culto dei campanili, e l’impatto visivo degli impianti dovrà essere pressoché nullo. Il Comune si impegna a effettuare assieme ad Arpav specifiche campagne di monitoraggio in continuo dei campi elettromagnetici, privilegiando le postazioni indicate dal competente ufficio della Diocesi. Claudio Turrini