Lettere in redazione

Poco silenzio nelle nostre liturgie

Dal n. 12 del 25 marzo 2007 Caro Direttore, da qualche tempo la Chiesa ha rivalutato nelle celebrazioni liturgiche, in particolare nella Messa, il canto; tanto è vero che ormai ogni Messa è praticamente «cantata» ed a differenza di un passato anche recente nel quale la Messa «piana» era l’ordinario e la «cantata» l’eccezione delle solennità, oggi è la Messa «piana» che fa eccezione. Però, nella speranza e nell’attesa che tutti, prima o poi si abituino a partecipare ai canti (cosa che mi pare ancora lontana dal verificarsi), si assiste a delle celebrazioni nelle quali, per circostanze di luogo e di tempo, il canto appare molto «forzato» e, praticamente ad opera del solo cantore o di uno sparuto gruppo. Questa generalizzazione vale la pena?

Ma a parte tale interrogativo, succede anche che in questo modo, riempiendo ogni momento non particolare della celebrazione (es. la consacrazione, ma non sempre) viene a mancare qualunque occasione di un minimo raccoglimento personale. Questo può forse valere per celebrazioni (es. Messe dei ragazzi) nelle quali si vuol evitare distrazione o chiacchiericcio, ma in celebrazioni molto mattutine o tardo-serali quando l’assemblea ha una composizione diversa, è proprio necessario?

Tra l’altro è anche difficile trovare momenti di silenzio in chiesa al di fuori degli orari canonici dato che, nei giorni festivi, le Messe si succedono quasi con continuità, mentre in quelli feriali, ogni chiesa fissa le celebrazioni secondo orari variabili, vuoi per il quartiere, vuoi per necessitá del celebrante e, mentre il tempo che precede la celebrazione viene spesso «occupato» da qualche gruppo che recita il rosario od altre preghiere, il dopo Messa serve per i colloqui delle persone che hanno appena partecipato, prima di tornarsene a casa per non parlare del tempo che necessariamente serve per le pulizie e le manutenzioni. E dato che le case oggi non brillano per grandi spazi, quando e dove si può trovare il modo di pensare un po’ per conto proprio?Romano Paternò LivornoIn questi giorni è uscita l’Esortazione apostolica postsinodale di Benedetto XVI Sacramentum caritatis che «raccoglie e rielabora le indicazioni dei Vescovi di tutto il mondo che un anno e mezzo fa – dal 2 al 23 ottobre 2005 – si erano riuniti a Roma per confrontarsi sul sacramento del Corpo e Sangue di Cristo». Il documento si rivolge non a pochi addetti ai lavori, ma alla Chiesa tutta e quindi anche ai fedeli laici che possono così riflettere – aiutati anche da un linguaggio piano e accessibile – su «aspetti dottrinali e temi che toccano la vita personale e comunitaria». Nella seconda parte «Eucarestia, mistero da celebrare», a proposito della celebrazione eucaristica si fanno delle precisazioni che credo rispondano con molta chiarezza anche alle sue perplessità, caro Paternò. Al n. 42 dove si parla del canto liturgico, che nelle celebrazioni ha un posto di rilievo, si precisa però che un canto non vale l’altro e che va evitata «la generica improvvisazione o l’introduzione di generi musicali non rispettosi nel senso della liturgia». E al § 50 si raccomanda che «non venga trascurato il tempo prezioso dopo la Comunione e assai utile può essere anche il rimanere raccolti in silenzio». Ed è certo auspicabile che queste pause silenziose si amplino proprio perché non venga a mancare il necessario raccoglimento personale. Tutto questo può aiutare anche a riscoprire e valorizzare il silenzio in sé, intorno a noi e dentro di noi, in un tempo in cui tanto è il rumore che ci avvolge. Non è certo il silenzio musone e altezzoso, ma quello che favorisce la vita interiore e la riflessione da cui scaturisce la parola misurata che può chiarire e aiutare. (dal n. 12 del 25 marzo 2007)

La Sacramentum caritatis