Lettere in redazione

Pensioni, il nodo dello «scalone»

Sono apparse in questi ultimi giorni, in previsione della ripresa degli incontri fra Governo e forze sociali sul superamento dell’iniquo «scalone di Maroni» alcune indiscrezioni giornalistiche, bollate da Romano Prodi come «voci» tra le tante e dal Ministro del Lavoro come «invenzioni giornalistiche».

Spero ardentemente che siano «invenzioni giornalistiche» perché in caso contrario o sono frutto di completa disattenzione o di vera e propria mania persecutoria. In base alla riforma Dini nel 2008 con 57 anni di età e 35 di servizio molte persone avrebbero potuto andare in pensione, con la controriforma Maroni, con lo scalone dovranno andare in pensione a 60 anni nel 2011. Il programma del Governo Prodi vista l’iniquità dello scalone ne prevede l’abolizione. Se quello che leggiamo è attendibile, l’abolizione dello scalone dovrebbe avvenire nel seguente modo: dal 1° gennaio 2008 l’età pensionabile si sposterebbe a 58 anni, dal 1° luglio 2009 a 59, dal 1° gennaio 2011 a 60, dal 1° luglio 2012 a 61 dal 1° gennaio 2014 a 62. Facendo un calcolo elementare significa che i nati nel secondo semestre dell’anno 1951 nel 2008 avranno 57 anni ma per andare in pensione ne occorreranno 58, nel 2009 finalmente avranno 58 anni ma dal 2 luglio ne occorreranno 59, dal 1° gennaio 2011 ne occorreranno 60 così come previsto dalla Controriforma Maroni. Ma se l’innalzamento di un anno di età non resta fermo per almeno due anni quale scalone viene abolito?

Aleandro MurrasFirenze

L’idea di sostituire lo «scalone» (cioè l’improvviso innalzamento dell’età pensionabile, previsto dalla riforma Maroni) con degli «scalini» più piccoli sta effettivamente circolando, anche se credo che la partita sia ancora lunga. Capisco l’allarme e la contrarietà di quei lavoratori che ormai alla soglia della pensione, si vedono costretti a rimandare la pensione di un anno o due. Ma dobbiamo essere anche responsabili. Le nostre aspettative di vita – per fortuna – si allungano di anno in anno. Il paese vive una gravissima crisi demografica (siamo il paese più «vecchio» del pianeta!) e questo comporta uno sbilanciamento crescente tra chi lavora e chi è in pensione. A 57 anni – tranne rarissimi casi di lavori particolarmente usuranti – si è ancora nel pieno delle forze. Non conviene a nessuno che il sistema pensionistico faccia bancarotta. Allora non sarebbe più saggio accettare uno spostamento progressivo dell’età pensionabile (fino anche ai 65-70 anni) in cambio di pensioni che rimangano quantomeno dignitose? Perché il vero rischio è che si finisca per andare in pensione con il 30-40% dell’ultimo stipendio. Cifre queste che – visti anche i ritardi della previdenza integrativa – metterebbero davvero a rischio una vecchiaia dignitosa anche per chi ha lavorato sodo tutta la vita.

Claudio Turrini