Lettere in redazione
Il perdono non si compra al mercato
Tutti, di fronte a certe domande, che vengono rivolte a persone sconvolte dal dolore, abbiamo provato disagio perché evidenziano oltre alla pochezza anche professionale di chi le formula la banalizzazione di mete ardue, come la capacità di perdonare che è sempre difficile e in alcuni casi impossibile, almeno nell’immediato.
Ma cos’è veramente il perdono? Ha prima di tutto una dimensione personale: viene concesso dall’offeso all’offensore, sempre grazie ad un atto libero e responsabile; riguarda la coscienza dei singoli e si applica alle relazioni interpersonali. È legato come ben dice la sua etimologia all’economia del dono, ma chiede il pentimento di chi ha causato dolore con il suo atto. Solo così si consente la riconciliazione e si ravviva una relazione umana compromessa dall’offesa.
Il perdono ha però anche una dimensione sociale, necessaria alla convivenza perché può interrompere il circolo vizioso della vendetta. E non è in contrasto con la giustizia come spesso si obietta perché «la concessione personale del perdono non cancella la necessità di scontare la pena oggettivamente stabilita dalla legittima autorità». C’è bisogno infatti sempre di perdonare ed essere perdonati non solo in famiglia e nella comunità cristiana ma anche in quella civile, sociale, politica.
In quest’ottica si colloca l’istituto della amnistia, dell’indulto e della prescrizione, da applicarsi, certo, sempre con il dovuto discernimento, come pure la concessione della grazia, prerogativa questa esclusiva del Capo dello Stato. E a questo proposito sono illuminanti gli esempi e le riflessioni che i coniugi Giulia Paola e Attilio Danese svolgono in un loro agile libretto «Perdono per dono: quale risorsa per la società e la famiglia» (Effatà 2006) che può fruttuosamente accompagnare le nostre vacanze.
Il perdono comunque scaturisce sempre dal cuore di una persona ed esige spesso un lungo itinerario che il Papa delinea bene nel suo Gesù di Nazareth quando commenta il versetto del Padre nostro «rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori». «La colpa è una realtà, una forza oggettiva; essa ha causato una distruzione che deve essere superata. Perciò perdonare deve essere più di un ignorare, di un semplice voler dimenticare. La colpa deve essere smaltita, sanata e così superata. Il perdono ha il suo prezzo innanzitutto per colui che perdona: egli deve superare in sé il male subito, deve come bruciarlo dentro di sé e con ciò rinnovare se stesso, così da coinvolgere poi in questo processo di trasformazione, di purificazioni interiori anche l’altro, il colpevole, e ambedue, soffrendo fino in fondo il male e superandolo, diventare nuovi». Si tratta, riprendendo il titolo di un bel libro, edito da Mondadori, in cui il figlio del Commissario Calabresi racconta la storia della sua famiglia, di «spingere la notte più in là» fino a far sorgere l’alba, l’alba del perdono.
Tutto questo, certo, acquista forza alla luce del Vangelo, «tutto pervaso dal tema del perdono», che in Gesù ci rivela che «Dio è un Dio che perdona perché ama le sue creature, ma il perdono può diventare efficace solo in colui che, da parte sua, perdona». E questo non si raggiunge da soli. Mentre si cresce nell’amore perdonante si ha bisogno di due mani tese a sostenerci: la mano tenera e forte di Dio e quella dell’umana amicizia che fa luce e dà forza.