Lettere in redazione
Le nostre responsabilità per l’Africa
Il bisogno di porre una regola a questi nuovi arrivi, la necessità di gestire la loro situazione organizzativa, nonché il crescente senso di insicurezza personale e sociale della nostra popolazione sono tutti interrogativi che richiedono solerti risposte. Apparirà evidente a tutti la necessità di fare quanto possibile per creare le condizioni sociali ed economiche affinché queste moltitudini abbiamo la possibilità di continuare a vivere dignitosamente nel proprio paese di origine. Pochissime persone sarebbero disposte ad affrontare situazioni pericolose di viaggio ed incognite di vita degradanti ed umilianti se avessero la possibilità di vivere in pace e serenità nella patria in cui sono nati.
Il mondo occidentale si dovrebbe porre un interrogativo di carattere morale: è giusto che pochi milioni di persone possano continuare a vivere nella loro «insoddisfatta» opulenza mentre la maggioranza degli uomini e delle donne di questo pianeta non riescono a soddisfare le necessità primarie?
Per quello che riguarda l’Africa tanto è già stato fatto da parte di associazioni, Chiese, governi e singoli individui al fine di promuovere le condizioni di pace, migliorare le conoscenze scientifiche, promuovere le singole economie e favorirne lo sviluppo. La Regione Toscana a livello istituzionale, associativo e di volontariato è da molti anni in prima fila in molti progetti di cooperazione ed in tante aree di crisi africane. Forti di questo esempio siamo chiamati a compiere ogni sforzo utile affinché questi progetti siano coordinati e continuativi e consentano il raggiungimento di condizioni di conoscenza ed autonomia economica permanenti nel tempo.
Di fronte ai flussi migratori che portano, soprattutto dall’Africa, sulle nostre coste migliaia di disperati, ci si sofferma per lo più sulle conseguenze che questo fenomeno comporta per l’Italia e non si approfondiscono le cause per cui tante persone lasciano i loro Paesi, affrontando pericoli e spesso alla mercé di uomini senza scrupoli. Il fatto è che fuggono da mali che sono ormai endemici per il Continente africano cioè la guerra, la fame e le malattie, che non sono frutto di fatalità, ma hanno ben precise responsabilità nei Governi locali, ma anche nel mondo occidentale. Certo, come lei ben dice, caro Pellegrini, sarebbe necessario «creare condizioni sociali ed economiche perché queste moltitudini potessero vivere dignitosamente nei loro Paesi», anche perché queste migrazioni, che coinvolgono soprattutto giovani, cioè le forze vive, finiscono per impoverire ulteriormente il paese d’origine e allontanare sempre più ogni possibile riscatto.
Ma questo è possibile solo con una seria e disinteressata cooperazione internazionale, che si aggiunga alle tante e meritorie opere della Chiesa e delle associazioni di volontariato, senza le quali diciamolo forte la situazione di tanta parte dell’Africa sarebbe ancor più drammatica.
Sono i vari Governi soprattutto europei che devono impegnarsi, anche perché l’Europa nei confronti dell’Africa ha degli obblighi, che le derivano dal suo passato coloniale. E qualcosa si sta muovendo. A Lisbona si è tenuto dal 7 al 10 dicembre un vertice tra Unione Europea e Unione Africana con la partecipazione di 80 tra capi di Stato e di Governo con lo scopo di impostare in maniera nuova i rapporti tra Europa e Africa. Alla fine del dibattito, che ha conosciuto anche momenti di tensione, si è firmato un documento che fissa alcune linee di azione. Tra l’altro l’Unione Europea si impegna ad aiutare i Paesi africani a raggiungere livelli di qualità e produttibilità che agevolino l’accesso dei loro prodotti al mercato europeo; inoltre, mentre si offrono più posti di lavoro per l’immigrazione regolare, si assicurano, per contenere quella illegale, investimenti per le infrastrutture e la formazione professionale. Ci sembra questa la strada giusta: c’è solo da sperare che questi progetti non restino sulla carta o naufraghino nella corruzione, bianca e nera che sia, come purtroppo è successo nel passato.