Lettere in redazione
Giudizi rozzi su Casa Savoia
Non riesco a capire come ci possano essere dei cattolici che, per assomigliare ai comunisti, diventano tanto rozzi e zotici nel contestare chi rivendica i propri diritti. Mi riferisco alla risposta del Direttore alla lettera «La faccia tosta dei Savoia» (16 dicembre 2007, pag. 12). Cominciamo intanto col dire che, secondo la Santa Chiesa Cattolica (nonché secondo quella conciliare ed ecumenica, che cattolica non è) le colpe dei padri non ricadono sui figli, tranne una sola eccezione: il peccato di Adamo. Ora, nessuna colpa degli antenati ricade su Vittorio Emanuele, che dovette lasciare la Patria all’età di nove anni e, tanto meno, su Emanuele Filiberto, come è ovvio. Quindi non meritavano quel lungo e ingiusto ostracismo subìto a causa di una norma barbara e ingiusta che, da provvisoria, sarebbe diventata definitiva se non fosse stata cancellata principalmente dal governo Berlusconi. Coloro che si indignano verso gli ultimi Savoia dovrebbero sapere che la libertà, di cui attualmente godono, la devono «anche» al genio politico militare del principe Eugenio, che distrusse l’esercito turco a Zenta sul Tibisco. È grazie «anche» a lui, quindi, che non corrono più certi rischi, come quello di essere impalati.
Venendo ai tempi più recenti, incominciamo da Carlo Alberto che se ne poteva stare tranquillo a Torino e invece mosse una guerra impari all’Austria per rivendicare l’indipendenza di terre italiane; ma pagò la sua impresa con l’esilio per morire prematuramente a Oporto, in Portogallo.
Vittorio Emanuele II è considerato un padre della Patria, e non c’è piazza in Italia dove non sia stato eretto un monumento in suo onore. Umberto I fu decantato come il Re Buono (un precursore non voglio dire di chi). Vittorio Emanuele III, è vero, affidò a Mussolini l’incarico di formare un governo: ed è logico che un Re soldato preferisse chi difendeva i combattenti rispetto a chi invece sputava in faccia ai reduci, compresi i mutilati e gli invalidi. Venne il momento in cui avrebbe dovuto rimandarlo al suo paese, ma non poteva più farlo, nel modo più assoluto.
Sulla dignità di Umberto II non esistono dubbi.
Morale: prima di insultare un certo prossimo si studi un po’ di storia patria; per certi individui, i Savoia hanno una bella faccia tosta, mentre i comunisti che, se avessero vinto il 18 aprile 1948 ci avrebbero resi schiavi dell’Unione Sovietica, la faccia l’hanno pulita e onesta.
Ho rispetto per chi ancora oggi mantiene incorrotta la sua «fede» monarchica. E sono pronto anche a riconoscere i meriti della Casa Savoia, come la dirittura morale di alcuni suoi esponenti. Però la storia che lei ci rimprovera di non conoscere non la si può piegare a proprio piacere. Accanto alle luci ci sono anche tante ombre. Non fu Vittorio Emanuele II, il 29 maggio 1855, a firmare il decreto di scioglimento degli ordini religiosi contemplativi o di predicazione, ritenuti da Cavour «inutili dunque nocivi»? Oltre 5 mila religiosi (335 case, per un numero totale di 3.733 uomini e di 1.756 donne), furono costretti a tornare allo stato laicale e monasteri e conventi furono incamerati dallo Stato, assieme a tutti i loro beni. Cosa direbbero ora i Savoia se domenicani e clarisse, francescani e carmelitane avanzassero una richiesta di risarcimento dei danni subiti? Per non parlare delle leggi razziali, firmate giusto settant’anni fa, da Vittorio Emanuele III. E lei sa che, come ha ben documentato Cecilia Gatto Trocchi («Il Risorgimento esoterico», Mondadori, 1999 e «Storia esoterica d’Italia», Piemme, 2001), la «cattolica» Casa Savoia, durante il periodo risorgimentale, accolse da tutta Europa maghi, occultisti e spiritisti in funzione anticattolica? E che in particolare, Margherita di Savoia praticava l’occultismo?
Quanto alla richiesta di risarcimento allo Stato italiano presentata da Vittorio Emanuele di Savoia e dal figlio Emanuele Filiberto le ricordo che buona parte della famiglia «reale», come le sorelle Maria Gabriella e Maria Beatrice di Savoia, ne hanno preso pubblicamente e rapidamente le distanze, definendola «impolitica e inopportuna». «Vittorio e figlio, che ormai rappresentano solo se stessi, non sanno più chi convenire in giudizio hanno scritto in un duro comunicato le due figlie di Umberto II lo hanno fatto con noi sorelle, lo hanno fatto con nostra madre, lo stanno facendo con i cugini Amedeo e Aimone, con oltre una cinquantina di persone…; ora non è rimasto a loro che convenire in giudizio la nazione italiana, quella che i nostri antenati hanno servito».
Del resto, sullo «spessore» di un personaggio come Vittorio Emanuele di Savoia, non esistono molti dubbi dopo la divulgazione (deplorevole, certo) delle intercettazioni telefoniche, nell’inchiesta portata avanti dal pm Henry John Woodcock. Si rilegga quelle pagine è vedrà che di «reale» c’è solo tanto squallore.
Claudio Turrini