Lettere in redazione

La fede non è l’oppio dei popoli

Caro Direttore,penso che le religioni, se ben interpretate, non sono «l’oppio dei popoli», ma un fattore determinante per la vita e l’identità di un popolo come ha dimostrato la recente rivolta in Birmania guidata dai monaci buddisti contro il regime militare.

Potremmo anche pensare alla «rivoluzione del rosario» nelle Filippine contro il dittatore Marcos come al sindacato cattolico polacco «Solidarnosc» che fece crollare la dittatura comunista. E che dire della rivoluzione pacifica dell’induista Ghandi in India o dell’impegno del Dalai Lama per il Tibert?

Al contrario le ideologie laicista del Novecento che hanno cercato di cancellare Dio dalla storia, hanno creato totalitarismi (nazismo e comunismo) che hanno prodotto mostruose carneficine.

Fernando Cabildonindirizzo email

E’ nel pensiero marxista che la religione è vista e presentata come «oppio dei popoli». Essa infatti, lungi dallo spingere «lo schiavo, il servo, il proletario» a liberarsi dalle strutture che opprimono, promettendo ricompense in un aldilà, genera e impone l’accettazione di condizioni ingiuste.

Questa visione della religione in genere, e del cristianesimo in particolare, portata avanti e diffusa da movimenti politico-ideologici, ha influenzato ambienti e persone e ancora si può cogliere nel sentire di molti, avvalorata talvolta – soprattutto nel passato – perfino da certa predicazione che, di fronte alle ingiustizie, proponeva alla povera gente solo rassegnazione.

Al di là però di singole responsabilità, accettare l’ingiustizia – soprattutto quella… degli altri – e non impegnarsi per rimuoverla sono la negazione, o meglio il tradimento, del messaggio evangelico e dell’essenza del cristianesimo. Ma direi anche di ogni religione, come lei ben esemplifica, caro sig. Fernando.

E a questo proposito sono illuminanti e impegnativi due passi della «Gaudium et spes», la Costituzione conciliare «la Chiesa nel mondo contemporaneo». «Il messaggio cristiano lungi dall’incitare gli uomini a disinteressarsi del bene dei propri simili, li impegna piuttosto a tutto ciò con un obbligo ancora più stringente» (§ 34) «Sbagliano coloro che, sapendo che noi qui non abbiamo una cittadinanza stabile, ma che cerchiamo quella futura, pensano di potere per questo trascurare i propri doveri terreni e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancor più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno» (§ 43).

Sono moniti da ricordare, qualora, magari a causa di delusioni, fossimo tentati dal disimpegno e dall’acquiescenza alle ingiustizie di ogni tipo e ovunque avvengano.