Lettere in redazione
La lobby dell’eutanasia
Proviamo ad andare contro corrente, a creare mentalità di vita appellandosi non solo a valori cristiani, ma anche a quelli umani per non dare spazio alla facile risposta: i credenti agiscono pure secondo coscienza, ma lascino libertà agli altri. Se la mentalità, la cultura e infine la legge diranno che è giusto uccidere piano piano ci troveremo intrappolati in un nuovo modo di pensare, dove si giunge quasi senza accorgersene.
Bisogna prendere atto, caro Innocenti, che ci sono gruppi politici, con in testa i radicali, e giornali militanti, che vogliono introdurre anche in Italia l’eutanasia.
Questi sanno bene che non è possibile che ciò avvenga in questa legislatura perché c’è una solida maggioranza trasversale del tutto contraria, che è anche molto perplessa sul cosiddetto testamento biologico. E allora intelligentemente si impegnano per influenzare l’opinione pubblica e bisogna riconoscere con qualche successo, anche sui cristiani.
Si parte, come sempre, da casi particolarmente dolorosi, di fronte ai quali non è certo possibile passare oltre, perché evidenziano drammi veri di persone e soprattutto di famiglie che temono, come troppo spesso accade, di dover portare da sole pesi enormi. Ma è qui il punto da cui partire: assicurare l’impegno fattivo delle Istituzioni pubbliche e del volontariato, che già fa tanto, per aiutare in modo concreto queste situazioni di sofferenza. L’eutanasia è una scorciatoia che si porta avanti per motivi ideologici, costi quel che costi. I «grandi» giornali hanno parlato poco o nulla di quanto sta avvenendo in questi giorni nel Lussemburgo. Il Parlamento per approvare, pur con un’esigua maggioranza, l’eutanasia ha avviato un processo di revisione costituzionale che di fatto esautora il Granduca contrario all’eutanasia di quasi tutti i suoi poteri. Ma l’importante è adeguarsi ai Paesi vicini, Belgio e Olanda, dove «la buona morte» è largamente applicata, anche ai bambini.
È questa mentalità di morte che bisogna sconfiggere, coltivando e diffondendo «una mentalità di vita», come lei bene dice. Anche questa è in fondo una battaglia culturale a cui oggi sono chiamati i cristiani e devono farlo non solo con argomenti religiosi, ma facendo leva sulle perplessità di molti anche non credenti. Si tratta in fondo di confrontarsi con una domanda fondamentale: chi decide se una vita è degna di essere vissuta? Può essere un medico, un infermiere, un magistrato, lo Stato stesso? Se rispondiamo di sì, contribuiamo all’instaurarsi di un tipo di società dove c’è spazio solo per i forti, i sani, i realizzati. E non è una bella società, soprattutto non è a misura d’uomo.