Lettere in redazione

Le preghiere islamiche e le minacce all’Occidente

Cosa è che va e che non va, per noi cittadini italiani e per noi cristiani, con i musulmani sul nostro territorio? Mi riferisco alla «preghiera» di molti musulmani sabato 3 gennaio a Milano, in piazza Duomo, al termine di un corteo politico per la pace dove sono state bruciate anche bandiere d’Israele.

Una nota della Curia di Milano dice che «molti hanno interpretato questa preghiera come un affronto nel suo luogo più simbolico e alto della città». La preghiera è preghiera quando è «contro» o quando viene piegata a scopi politici? Cosa direbbero i musulmani se tanti cattolici si riunissero a pregare a Roma davanti alla grande moschea oppure davanti a una moschea-simbolo di una città in una nazione araba?

Con la presenza di tanti musulmani che ne sarà tra dieci o vent’anni di questo occidente che fatica a vedere e che spesso dimentica e non riconosce più le sue radici giudaiche-cristiane? Il cristianesimo (anche con San Benedetto) ha salvato l’occidente dai barbari e poi in seguito a Poitiers e a Lepanto. Sono d’accordo ad accogliere nella sicurezza e nella legalità gli immigrati e i rifugiati politici, ma reggerà l’occidente di fronte a questa nuova e diversa «invasione» musulmana?

Giovanni ManecchiaGhezzano (Pi)

Come ha ben chiarito la Diocesi di Milano, la preghiera «è un bisogno e un diritto fondamentale, inalienabile per l’uomo: ogni uomo, appartenente a qualsiasi religione, dovunque, anche a Milano», ma «non può mai essere usata “contro” qualcuno e deve essere praticata – se pubblica – nei luoghi, nei tempi e nelle modalità opportune». Quegli islamici che, al temine di una manifestazione politica che doveva concludersi in piazza San Babila, hanno deciso di sistemarsi davanti alla Cattedrale per la loro preghiera, hanno sbagliato, mancando di sensibilità e di rispetto per il paese che li accoglie. Se ne sono accorti loro stessi, dal momento che gli organizzatori hanno poi chiesto un incontro con rappresentanti della Diocesi per esprimere «il loro sincero rammarico» qualora quel «gesto avesse ferito la sensibilità cristiana». Speriamo che episodi del genere non si verifichino più. Altro discorso mi sembra si debba fare invece per la proposta del presidente della Camera Gianfranco Fini di obbligare gli imam alla predicazione solo in italiano. Proposta, peraltro, già avanzata da tempo dalla Lega. La trovo una misura inutile e capace di aumentare le tensioni, invece che di smorzarle. Se ci sono sospetti su possibili attività terroristiche all’ombra delle moschee, i nostri servizi di «intelligence» non si fermeranno certo davanti allo scoglio della lingua. Teoricamente potrebbe favorire una migliore integrazione, ma allora bisognerebbe partire da corsi di italiano, non da prescrizioni del genere. Perché poi, per coerenza, dovremmo proibire agli ebrei di leggere la Torah in ebraico, o alle tante comunità cristiane di immigrati di pregare in inglese o nelle loro lingue nazionali. E magari… vietare anche le nostre preghiere in latino.

Claudio Turrini