Lettere in redazione
Si può ancora parlare di guerra giusta?
I suoi interrogativi, caro Galastri, sono comuni a molti di noi e nascono da una situazione di guerra combattuta tra Israeliani e Palestinesi, dopo quella, disastrosa, in Iraq, che tra l’altro non ha risolto alcuno dei problemi per i quali era stata dichiarata. Per non parlare delle cosiddette «guerre dimenticate» che si combattono in Africa delle quali i mezzi di comunicazione, con rare eccezioni, quasi non danno notizia.
La guerra si dimostra sempre più un’«avventura senza ritorno» e un’«inutile strage»; anzi, molto spesso, quando finisce lascia, per così dire, degli strascichi che preparano una guerra successiva. La durezza delle condizioni, imposte alla Germania dalle potenze vincitrici, è lì a dimostrarlo. Eppure esiste pur sempre il diritto di difendersi da una aggressione: in questo caso è moralmente consentito l’uso della forza militare e possiamo parlare di «guerra giusta». Il compendio del Catechismo della Chiesa cattolica offre ai pp. 484 – 485 – 486 chiare lineee di giudizio, come del resto ben fa nel suo articolo don Leonardo Salutati (Risponde il teologo).
Perché una guerra possa essere considerata «giusta» devono ricorrere le seguenti condizioni: «certezza di un durevole e grave danno subito», «inefficienza di ogni alternativa pacifica», «fondate possibilità di successo», «assenza di mali peggiori, considerata l’odierna potenza dei mezzi di distruzione». Ma anche la «guerra giusta» ha le sue regole, perché la legge morale rimane sempre valida, anche in caso di guerra. «Essa chiede che si trattino con umanità i non combattenti, i soldati feriti e i prigionieri. Le azioni deliberatamente contrarie al diritto delle genti e le disposizioni che le impongono sono dei crimini che l’obbedienza cieca non serve a scusare. Si devono condannare le distruzioni di massa come pure lo sterminio di un popolo o di una minoranza etnica, che sono peccati gravissimi: si è moralmente in obbligo di fare resistenza agli ordini di chi li comanda».