Lettere in redazione
Funerali cristiani ed elogio del defunto
Non parliamo poi dei modi di annuncio della morte: «munito dei conforti religiosi» .Non ha mai messo piede in chiesa, non ha ricevuto alcun sacramento, ma è bastato che appena morto, il frate gli desse una benedizione e tutto è a posto.
Ma il bello è anche il fatto che ad ogni morto viene messa una croce sul petto, un rosario tra le dita: la croce forse l’avrà vista, ma vorrei sapere quando ha mai visto la corona del rosario. Quando poi non succede che in ospedale, appena morto un familiare, si chiami il cappellano per la cosiddetta «estrema unzione», che con i morti non ci incastra proprio niente, dato che il sacramento è giustamente chiamato «unzione degli infermi», perché appunta si dà ai malati.
Ci sarebbe anche da domandarsi se sia giusto portare in chiesa, celebrare l’eucaristia e tutta una serie di belle preghiere fatte per chi crede, persone che con la Chiesa e i Sacramenti non hanno avuto alcun contatto. Siccome tutti hanno fatto e fanno così
Altra cosa è pregare per tutti i defunti e altra cosa è far apparire credenti anche coloro che da vivi non gliene interessava più di tanto partecipare alla vita della Chiesa.
E, mi si permetta una parola anche sulle omelie nella celebrazione dei funerali. In genere, non sono omelie sulla Parola di Dio, ma dei veri panegirici: di colpo, appena muori, ci ritroviamo tutti santi. Non ho ancora capito perché allora si parli di Messa di suffragio. E questo, nessuno se n’abbia a male, vale per preti, vescovi, papi, fedeli laici.
Vorrei infine, dire anche che l’ambone serve per l’annuncio della Parola di Dio e non per ricordare sia pure le virtù del defunto. Purtroppo certe celebrazioni di funerali in televisione sono un pessimo esempio e non danno un nitido annuncio «della risurrezione dei morti e della vita del mondo che verrà».
Possibile che di fronte a tutti questi abusi, nessuno dica qualcosa? Eppure le norme liturgiche esistono anche per le esequie. Ma chi le legge, chi le osserva?
Sono d’accordo con la maggior parte delle tue osservazioni, caro don Franco. E credo che la nostra Chiesa dovrebbe riflettere su questo passaggio fondamentale della vita umana, che dal punto di vista pastorale è ormai un’occasione privilegiata per raggiungere tanti «lontani». È molto raro, infatti, che si rinunci alla funzione religiosa, anche se il morto e la sua stessa famiglia non erano praticanti e perfino credenti. E il clima di commozione e dolore favorisce anche una capacità di «ascolto» dei presenti, ben superiore, ad esempio a quella che ci può essere per un matrimonio o per l’amministrazione di uno dei sacramenti dell’iniziazione cristiana. Celebrando le esequie cristiane, come ci ricorda il «Catechismo», la Chiesa «chiede che il suo figlio sia purificato dai suoi peccati e dalle loro conseguenze e che sia ammesso alla pienezza pasquale della mensa del Regno». Per questo, secondo il mio modo di vedere, fa bene ad essere misericordiosa e a non sindacare troppo sulla fede del defunto. Quanto però all’omelia è vero che i celebranti, attenendosi alle indicazioni liturgiche, dovrebbero «evitare la forma e lo stile di un elogio funebre e illuminare il mistero della morte cristiana alla luce di Cristo risorto». (CCC § 1688)