Lettere in redazione
Englaro, cittadinanza non opportuna
Firenze è la città della vita, la città che attraverso nobili e vive istituzioni di carità come l’arciconfraternita della Misericordia, gli ospedali di Santa Maria Nuova e di San Giovanni di Dio, l’Istituto degli Innocenti ha testimoniato e testimonia con vitalità l’impegno per il prossimo; viene profondamente ferita con il conferimento della cittadinanza a una persona, che con la sua scelta, si è fatto portatore di un messaggio di morte e non della vita.
La motivazione del conferimento della cittadinanza al signor Englaro «per il suo impegno per la libertà» mortifica la città poiché per la prima volta nella storia di Firenze la decisione di dare la cittadinanza avviene non all’unanimità ma per volontà dell’arroganza partigiana di una sola parte politica in nome di una ideologia, dimenticando che fino a ora la cittadinanza onoraria era stata attribuita a personalità dello sport, della cultura della società civile, del volontariato, che si erano impegnate per Firenze come Cesare Prandelli e Chiara Lubich…
La cittadinanza al signor Englaro offende chi crede al valore della vita ed inoltre è un’offesa per chi si trova a vivere nella sua stessa situazione, per chi ha in famiglia persone in stato di coma, per chi cura con amore i malati terminali; mi domando come mai non si è deciso di dare la cittadinanza alle suore Misericordine di Lecco che per 17 anni hanno assistito Eluana con tanto amore.
Sono vicino al nostro arcivescovo duramente attaccato per avere formalmente condannato la decisione del consiglio comunale; riaffermiamo e rivendichiamo il diritto della Chiesa ad esprimere la sua voce e a intervenire nelle questioni legate alla vita pubblica della nostra città. Mi domando: come mai alcuni movimenti cattolici che nei loro siti hanno espresso opinioni ed articoli ineggianti alla libertà e alla laicità dello Stato, prendendo le distanze dalle posizioni dei vescovi italiani non hanno espresso alcuna solidarietà al nostro arcivescovo?
Noi non siamo ostili al signor Englaro, capisco la sua solitudine e sofferenza per tutti questi anni, ma disapprovo la sua decisione di avere provocato la morte della propria figlia, ritengo che nell’affrontare queste problematiche morali ed etiche così delicate occorre evitare l’aumento della conflittualità all’interno della società , come ha provocato la decisione di dare questa cittadinanza onoraria.
La vicenda di Eluana Englaro, che si è conclusa drammaticamente e per noi nel peggiore dei modi, continua a far riflettere. Lo provano le tante lettere addolorate e perplesse che continuano a giungere in Redazione e mi si dice che arrivano anche agli altri giornali che per lo più si guardano bene da pubblicarle. Il conferimento poi della cittadinanza onoraria a Beppino Englaro, con una maggioranza per lo più esigua, ha per così dire riattualizzato la questione. Pannella ha dichiarato che i Radicali sono alla ricerca di casi di forte impatto emotivo, come quello di Eluana, per mantener viva l’attenzione al vero problema: introdurre in Italia l’eutanasia. È vero che in questa legislatura non avverrà perché manca chiaramente la maggioranza, ma l’importante è influenzare l’opinione pubblica. E non è detto che questo non avvenga anche nel nostro mondo: i casi non mancano.
In fondo la questione è semplice: chi decide se e quando una vita non è più degna di essere vissuta e può essere soppressa? Può farlo un medico, un magistrato, una legge del Parlamento che tra l’altro contraddirebbe lo spirito della Costituzione e una lunga tradizione. Noi credenti pensiamo che la vita sia un dono di Dio che va sempre promossa e accreditata, anche quando sembra inutile. Lo testimoniano ogni giorno le tante famiglie che portano, magari da anni, situazioni difficili, spesso in solitudine e in riservatezza. Certo le Istituzioni e lo stesso volontariato devono saper dare aiuti concreti e solleciti per alleggerire il peso che a tratti è pesante.
Perché il nostro no all’eutanasia sia però credibile bisogna impegnarsi per difendere la vita in tutti i suoi aspetti; dal lavoro, all’accoglienza di chi è diverso da noi, nelle tante situazioni di ingiustizia palese o nascosta. È una sfida culturale a cui noi cattolici siamo chiamati, ma che interpella anche tanti laici preoccupati di dove può portare questa deriva di morte, presentata questo è il paradosso come una tappa di civiltà che allineerebbe l’Italia ad altri paesi europei, dove l’eutanasia è largamente praticata anche sui bambini, come insegnano il Belgio e l’Olanda.