Lettere in redazione
G8 e clima, storielle da imbonitori?
Il portavoce del recente G8 a L’Aquila, nella conferenza stampa, ha proclamato in senso positivo la «necessità di mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto di due gradi rispetto ai livelli pre-industriali» e, prescindendo dalla pratica impossibilità di controllare quantitativamente gli aumenti, mi pare giusto utilizzare i dati disponibili per cercare di comprendere meglio il significato di questo messaggio.
Per Firenze, che è un punto qualsiasi come ogni altro che venga prescelto per misura della «temperatura globale», si conoscono i dati sistematici raccolti fin dal 1813 (Ximeniano) e, prendendo il valore minimo di temperatura media annuale osservata come pre-industriale (13.76 °C nel 1835), nel secolo XIX almeno 15 volte si è superato ampiamente il limite di due gradi, senza che si registrassero disastri o motivi di allarme; il fenomeno si è ovviamente ripetuto nel secolo XX, proprio perché la natura segue le proprie regole e non soffre oltremodo di sciaguratezze umane.
Allora, c’è qualcosa di serio che non viene detto ai poveri mortali, o quelle del G 8 sono storielle da imbonitori di alto livello?
Mi pare giusto che gli addetti qualificati all’informazione vengano in qualche modo sollecitati da voci fuori del coro.
Condivido in pieno queste osservazioni. Del resto il settimanale, pur essendo molto sensibile al tema della salvaguardia del creato e pur informando su quanto viene detto e stabilito nelle sedi internazionali a proposito di clima, non si è mai accodato ai «catastrofisti», tanto di moda oggi. Anche senza avere le competenze scientifiche dell’amico Marino Martini, vulcanologo di fama internazionale, è facile rendersi conto che qualcosa non torna nei ragionamenti che ci vengono propinati. Anche un ragazzino delle elementari sa, infatti, che la temperatura globale terrestre è cambiata innumerevoli volte sulla terra. Non per nulla si parla di ere «glaciali». Mai, finora, questo è stato dovuto a cause antropiche.
Certo, oggi l’attività umana può essere una causa significativa di riscaldamento globale che si somma a fenomeni che potremmo definire «naturali». Ma nessuno per ora ha gli strumenti (modelli matematici) per poter capire con esattezza quanto incidono i primi e quanto i secondi. Si possono fare solo delle ipotesi, dei «modelli», tutti da verificare. Per l’Ipc (Intergovernmental Panel on Climate Change), che è poi la «sede» da cui nascono tutti questi allarmi, il riscaldamento verificatosi negli ultimi 50 anni deriva per il 90% alle attività umane. Ma per il meteorologo Richard S. Lindzen, del Massachusetts Institute of Technology di Boston, le attività dell’uomo contribuiscono solo per l’1,5% nella produzione di CO2, mentre tutto il resto deriva principalmente dalla radiazione solare e dall’attività vulcanica.
Del resto, come ben sa l’amico Marino, l’eruzione di un grande vulcano può rilasciare nell’atmosfera circa 17 miliardi di tonnellate di biossido di carbonio, 3,5 miliardi di t. di zolfo e 28 miliardi di t. di gas alogeni, cioè rispettivamente 2,5, 30 e 100 volte le quantità annuali prodotte dalle attività umane. Nessuno poi può affermare che nei prossimi anni si confermerà senz’altro la tendenza all’aumento della temperatura. Basti dire qui che alcuni degli scienziati che oggi lanciano l’allarme sul «riscaldamento globale», negli anni ’70 sostenevano esattamente il contrario, cioè che andavamo incontro ad una nuova glaciazione.