Lettere in redazione

Occupazioni, una risposta troppo ingenua

Scusatemi per la franchezza, ma la risposta data alla lettera sul rito delle occupazioni nel numero di Toscana Oggi del 25 ottobre mi pare un tantino ingenua. Il cosiddetto rito delle occupazioni  è iniziato da decenni e si è prolungato nel tempo fino a qualche anno fa , puntualmente nello stesso periodo: da qualche anno si tratta solo di episodi isolati. Quando, prima del 2004/2005, il rito era effettivamente diffuso in tutta Italia nello stesso periodo(novembre-dicembre), i presidi tutti erano coinvolti in quello che viene definito un fallimento da mancanza di dialogo: la verità era che nessuno fra gli studenti promotori (pochi) accettava il dialogo e tutti gli altri si attenevano alle decisioni di pochi, quasi sempre collegati a partiti e movimenti esterni alla scuola.

Tutti o almeno la stragrande maggioranza dei  presidi si sono sempre attivati per risolvere la questione della protesta in dimensione pedagogica, chiedendo l’aiuto delle famiglie tramite riunioni, assemblee, consigli di istituto e convocazione degli organi gestionali della scuola; non si è mai ottenuto nulla per la mancanza di coraggio di tutti coloro che avrebbero dovuto affrontare il problema.

Pensate alle tremende responsabilità di un preside che si trova di fronte ad una scuola ingestibile, incontrollabile, occupata giorno e notte, danneggiata nelle strutture. A quei tempi si è cercato di insistere sul tasto della legalità che oggi sembra tanto di moda, facendo osservare che la maggior parte degli atti si configuravano come reati (lesione del diritto altrui di avere lezioni regolari, interruzione di servizio pubblico etc.).

Gli organi di controllo sono sempre stati avvertiti, forse non da tutti, ma da molti presidi; senza esito. A quei tempi io con il collegio dei professori ho anche tempestato di lettere i ministri in carica per protestare e far presente che in situazione simile lo svolgimento dei compiti di vigilanza su persone e strutture era di fatto impedito, senza contare che potevano accadere chissà quali incidenti. I dirigenti sopra di noi erano chiaramente impotenti e qualche volta facevano anche osservazioni poco simpatiche sul fallimento del dialogo. Eravamo stati lasciati soli dalle istituzioni che non volevano affrontare il problema.

Ora che invece tutto si può considerare concluso, ora che non c’è più interesse a nascondere la testa nella sabbia, non sarebbe male tentare un approfondimento del tema, che consentirebbe di capire meglio un aspetto caratterizzante la storia nostra negli ultimi trent’anni.

Perdonatemi un tantino di coinvolgimento emotivo; mi auguro che, nonostante ciò, il senso del mio discorso sia chiaro.

Franco Sabatini

Comprendiamo il «coinvolgimento emotivo» di un ex preside, che ha vissuto sulla sua pelle queste vicende. Sappiamo bene che i problemi sono complessi e che non si può mai generalizzare. E che le poche righe di una risposta possono suonare «ingenue» o quantomeno sbrigative. Ma ribadiamo quanto abbiamo già scritto. Certo, i tempi in cui tutte le scuole superiori «occupavano» – e anche per lunghi periodi – è per fortuna tramontato. E, in confronto, quello che è avvenuto quest’anno, soprattutto in città come Firenze, è sembrata una cosa quasi da nulla. Ma ora come allora è intollerabile far finta di niente.

Parlare di «fallimento» – lo so – può urtare le suscettibilità degli educatori. Ma è un’esperienza che ogni educatore, genitori compresi, sa di dover mettere in conto, prima o poi. Se una minoranza di studenti occupa e una maggioranza subisce o ne approfitta per fare vacanza, questo deve interpellare i genitori, gli insegnanti, i dirigenti scolastici, prima ancora di tutti i possibili risvolti organizzativi e disciplinari (che come lei giustamente ricordava, ci sono pure). Lei che è stato preside in una scuola superiore di San Giovanni Valdarno sa bene che ci sono insegnanti che con gli allievi si limitano ad avere un rapporto puramente didattico (ed è già qualcosa, intendiamoci) e altri – specie tra coloro che hanno più ore nelle classi – che invece riescono a guadagnarsi autorità e una forte influenza. Sanno ascoltare i giovani e anche aiutarli, in qualche modo, nelle loro scelte. Se invece il dialogo tra corpo docente e allievi si chiude anche gestire al meglio un’occupazione diventa un’impresa ardua.

Claudio Turrini