Lettere in redazione
Afghanistan, l’Italia doveva restarne fuori
Le grandi aziende occidentali che fanno armi sono in piena efficienza, affari a non finire. Più bombardamenti con o senza piloti, questi ultimi non distinguono certamente i talebani dalla popolazione, più aumenta il numero di coloro che si schierano contro la coalizione occupante. Il numero dei cosiddetti terroristi è in continuo aumento, non solo sono in aumento nei territori belligeranti ma si stanno espandendo anche in altri. Noi con l’articolo 11 della Costituzione potevamo starne fuori, ed avere un ruolo di pacificazione dettatoci proprio dal suddetto articolo. Con la scusa di portare la pace facendo la guerra i nostri soldati muoiono inutilmente. Milioni di italiani che sono contro l’intervento armato non hanno voce, neppure sul nostro giornale che tutti i giorni dovrebbe tuonare contro questa orrenda guerra.
E’ vero. Della situazione in Afghanistan si parla troppo poco. Il dibattito è divampato, improvvisamente, nel settembre scorso, quando sono stati sei nostri militari a rimetterci la vita. Poi la questione è tornata nel dimenticatoio. Ma non possiamo classificare quella missione militare come una «guerra», se non in senso lato di «guerra al terrorismo». Pur riconoscendo che certe azioni militari come i bombardamenti vanno nella direzione opposta. Che non sia una guerra almeno nelle intenzioni lo dimostra il fatto che l’Isaf (International Security Assistance Force), fu costituita su mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 20 dicembre 2001 (risoluzione 1386). Il suo compito era assistere l’Autorità interinale Afghana (insediatasi dopo la cacciata dei talebani per opera soprattutto dei guerriglieri locali, i cosiddetti «signori della guerra») nel mantenere la sicurezza a Kabul e nelle aree limitrofe. Mandato poi esteso a tutto il Paese, con la risoluzione Onu 1510 del 13 ottobre 2003 (poi prorogata più volte), dopo che l’11 agosto di quell’anno era stata la Nato ad assumerne la leadership. Attualmente la missione è composta da circa 67 mila militari, di cui la metà statunitensi. Ad essi si aggiungono 28.600 unità dell’esercito nazionale afgano e 30.200 poliziotti afghani. Gli italiani, con 2.795 effettivi, sono il quinto contingente per consistenza tra i 39 presenti, dietro Regno Unito, Germania, Francia e Canada.
Non credo che la partecipazione a quella missione di «stabilizzazione» sia stata una violazione della nostra Carta Costituzionale. Ma oggi possiamo giustamente chiederci se in questi otto anni l’Isaf abbia operato bene e, soprattutto, se è giusto mantenere le nostre truppe in Afghanistan. Il bilancio non è facile. Il terrorismo che proveniva da quel paese è rimasto sostanzialmente sotto controllo, ma i talebani sono di nuovo padroni di ampie zone e soprattutto il Paese è ben lontano dall’essere stato stabilizzato e reso democratico. Tra l’altro, Bin Laden è ancora uccel di bosco. Ma l’eventuale ritiro delle truppe italiane deve essere concordato all’interno della coalizione, tenendo conto delle conseguenze che potrebbe avere su tutto lo scacchiere.