Lettere in redazione
Funerali Vianello: la Comunione del premier
Nel vedere l’on. Berlusconi fare la comunione ai funerali di Raimondo Vianello, sono rimasto perplesso sapendo che i divorziati non possono avvicinarsi a tale sacramento. Poi, a tacitare le persone perplesse e scandalizzate è intervenuto monsignor Fisichella che ha assolto il premier con formula piena perché: «solo al fedele separato e risposato è vietato comunicarsi, poiché sussiste uno stato di permanenza nel peccato. Ma il Presidente, essendosi separato dalla seconda moglie, è tornato a una situazione ex ante».
A questo punto, se ho interpretato bene le parole di monsignor Fisichella, chi celibe o nubile ha sposato uno/una divorziata può fare la Comunione. Come pure il divorziato/a che rompe il secondo e i successivi matrimoni, (come il presidente del Consiglio), può comunicarsi perché, in quel momento non è concubino/a. Vorrei, come si dice a Napoli, «essere spiegato».
Dopo aver letto quanto esposto da padre Francesco sulla possibilità di accostarsi alla comunione delle persone divorziate o sposate con persone divorziate (Una divorziata (non risposata) può fare la madrina alla Cresima? Toscana Oggi n. 9, del 7 marzo 2010), volevo chiedere se ritenete giusto che Berlusconi abbia potuto accostarsi alla comunione venerdì scorso ai funerali di Raimondo Vianello.
Capisco lo sconcerto di alcuni lettori. Ma vorrei invitare tutti a tener fuori la Chiesa da polemiche politiche e affrontare anche casi come questi con la giusta serenità. Chi crede sa come ci ricorda l’apostolo Paolo che «chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore» (1 Cor 11, 27). Se il premier ha fatto questo e nessuno di noi può e deve giudicarlo se la vedrà lui, nel momento del giudizio divino. Ma nessuno di noi dal momento che non siamo il loro confessore può sapere se una persona è in «grazia di Dio» o in uno stato di peccato mortale. Possiamo giudicare solo di noi stessi. Ed è per questo che il sacerdote che distribuisce l’Eucarestia non può sindacare della disposizione interiore del fedele che la richiede. A meno che non ritenga quel fedele una persona che persiste «pubblicamente» in un peccato grave. «Non siano ammessi alla sacra Comunione gli scomunicati e gli interdetti, dopo l’irrogazione o la dichiarazione della pena e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto», recita il canone 915.
E su questo ha ragione mons. Fisichella. Ce ne siamo occupati spesso nella rubrica «Risponde il teologo», citata anche da un lettore. Tanti pensano che un divorziato non possa accostarsi all’Eucarestia. ma come ha scritto recentemente il padre Francesco Romano, proprio nella rubrica citata (Una divorziata (non risposata) può fare la madrina alla Cresima?), «non è il divorzio in sé, anche nel caso che ci sia stata una precisa responsabilità personale da parte di uno o di entrambi i coniugi, a precludere l’accesso alla comunione, bensì le loro eventuali scelte successive se vengono a collidere con la legge di Dio, mai dispensabile da qualsivoglia autorità umana, dell’indissolubilità del vincolo e della fedeltà». In altre parole, un uomo e una donna che vivono insieme «da marito e moglie», senza essere legittimamente sposati davanti al Signore, sono oggettivamente in una condizione di peccato grave. Indipendentemente dalle situazioni pregresse. Ma, viceversa, avere alle spalle un divorzio non esclude di per sé dall’Eucarestia. Scriveva ancora padre Romano: «Per poter ricevere la sacra comunione, il divorziato che continua comunque a rimanere fedele al patto coniugale, ancorché responsabile del tracollo coniugale se non può riparare alla ferita inferta al matrimonio, è almeno indispensabile che si penta per il peccato commesso e abbia il fermo proposito di tenersi lontano da tutto ciò che possa comportare il rischio di profanare il sacro vincolo, fermo restando che esso continua a durare quanto la reciproca sopravvivenza dei coniugi, benché separati o divorziati. Il peccato è imperdonabile solo quando l’uomo non cerca il perdono di Dio ritenendo che Egli approvi i suoi peccati».
Quella di mons. Fisichella non è quindi la risposta di una Chiesa severa con la gente comune e indulgente con i potenti, come tanti magari avranno pensato, ma la risposta che la Chiesa dà a tutti i battezzati.