Lettere in redazione

Sperimentazioni Ogm, sono soldi buttati

A proposito dell’articolo sulla sperimentazione regionale «Demetra», sull’impatto delle colture Ogm», pubblicato sul numero del 23 maggio scorso, (Al via Demetra per valutare l’impatto delle colture Ogm) ritengo che siano «soldi buttati». Ci sono già altre sperimentazioni che dimostrano l’impossibile coesistenza con gli ogm: il vento, gli insetti sono sempre gli stessi… e si muovono a centinaia di km …trasportando il polline… Inoltre c’è il trasferimento Genico orizzontale dei frammenti di dna transgenico che passano alle catene alimentari tra specie diverse durante la digestione e nella decomposizione portando a rischi incommensurabili. Trasferimento genico orizzontale molto più veloce nel caso degli ogm, data la forte reattività del dna transgenico, instabile ed affamato di altro dna…

Giuseppe Altieriindirizzo email

Non so dire se abbia ragione Umberto Veronesi, direttore scientifico dell’Istituto europeo di oncologia, che proprio pochi giorni fa ha affermato che combattere gli alimenti ogm, oltre che «una battaglia ideologica», è soprattutto una «battaglia persa», perché «tutti mangeremo, e in parte già mangiamo, alimenti ogm». Ma proprio per questo mi sembra positivo che la Regione, che dovrà presto legiferare sulla coesistenza di coltivazioni Ogm e avvalendosi in buona parte di contributi europei, abbia deciso di dar vita ad una ricerca seria sulle colture di mais, soia, girasole, pioppo e patata, affidata al Cnr del Polo Scientifico dell’Università fiorentina, piuttosto che basarsi su quelle già esistenti. Che come è noto sono spesso finanziate da multinazionali che hanno tutto l’interesse a spingere l’Efsa – l’autorità  europea per la sicurezza alimentare – a esprimere pareri positivi sui nuovi prodotti. Anche perché la competenza è regionale (pur nel quadro delle direttive Ue e tenuto conto degli indirizzi della Conferenza Stato-Regioni), ma nessuno può pensare di poter erigere barriere – come giustamente osserva anche lei – che ci mettano al riparo dalla diffusione di queste colture geneticamente modificate.

Ma la conoscenza è solo il primo «pilastro» di un corretto approccio, anche in campo agro-alimentare, alle nuove tecnologie. L’altro è la «trasparenza» e anche su questo fronte si fa molta fatica. Trasparenza non solo sui risultati delle ricerche che devono essere pubblici, ma sulla etichettatura dei prodotti. Il cittadino ha il diritto di sapere cosa acquista, se è prodotto con piante ogm o anche solo se è significativamente contaminato.

Claudio Turrini