Lettere in redazione
Università, le ragioni della protesta
Questa lettera è a nome di tutti gli studenti della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell’Università di Pisa, riuniti in assemblea il 27 settembre 2010, per denunciare l’indifferenza soprattutto mediatica riguardo la situazione in cui versano le Università italiane. La nostra protesta si basa sui seguenti punti:
1) Il taglio del 20% nei prossimi tre anni ai fondi dell’FFO (Fondo di Finanziamento Ordinario), che è il principale strumento per il pagamento dei docenti e dei ricercatori universitari;
2) La riforma del ruolo del ricercatore universitario, che prevede la scomparsa della figura del ricercatore a tempo indeterminato e l’introduzione dei contratti a tempo determinato, di durata massima di sei anni non ulteriormente rinnovabili;
3) Il blocco delle assunzioni, che costringe il ricercatore, dopo sei anni di precariato, a cercare un altro impiego in Italia o dare nuova linfa alla cosiddetta «fuga dei cervelli». A causa di ciò, i ricercatori si sono rifiutati di svolgere quelle attività didattiche completamente gratuite e volontarie che hanno svolto sino all’anno scorso, che erano e sono tuttora indispensabili per l’apertura dei corsi: è incredibile che, a questo punto, l’Università necessiti di straordinari non pagati per far partire le lezioni.
Nonostante questa protesta colpisca duramente noi studenti, non possiamo che appoggiarla: se si accettasse la situazione attuale, ovvero una didattica mutilata, andremmo solamente incontro ad una progressiva distruzione dell’Università pubblica, a favore di quella privata.
L’Università contribuisce al benessere di tutto il Paese, portando innovazione: affondandola, pregiudichiamo il futuro dell’Italia intera. La nostra non è una protesta di principio: è in ballo il nostro ed il vostro futuro. Ci siamo resi conto che, ad eccezione delle persone direttamente coinvolte nell’Università, ben pochi sono a conoscenza di quanto abbiamo detto. Siamo fiduciosi che il Vostro giornale possa dare sufficiente risalto alle problematiche che abbiamo posto, finora passate inosservate nel panorama mediatico nazionale.
La riforma dell’Università è un’emergenza per il nostro Paese. E quando, una decina di giorni fa, sembrava che il ddl all’esame del Parlamento fosse finito su un binario morto, giustamente si sono levate molte voci critiche tra esponenti della cultura e del mondo accademico. Il che non vuol dire che il testo predisposto dal ministro sia del tutto condivisibile. Il Parlamento avrebbe la possibilità di migliorarlo, ascoltando anche le voci di protesta che dal mondo degli studenti e dei ricercatori si stanno alzando forti in tutto il Paese. Qualche modifica è stata già introdotta proprio in questi giorni in Commissione istruzione alla Camera, come quello «salva-ricercatori» proposta dalla relatrice Paola Frassineti e che mette sul piatto 9 mila posti da associato tra il 2011 e il 2016, con un finanziamento ad hoc. Ma di quei finanziamenti ancora non c’è certezza. E qui sta secondo me il vero nodo. Una riforma che riorganizzi l’intero sistema, migliori la didattica e riduca il precariato, potrà portare nel lungo periodo anche ad economizzare le risorse, o comunque ad utilizzarle meglio. Ma una riforma non si fa senza un adeguato finanziamento. E invece le scelte del governo sembrano andare nella direzione opposta.