Lettere in redazione

Per non consegnare nessuno al «tritacarne mediatico»

Su «Toscana Oggi» del 24 ottobre, in una risposta ad un lettore sull’argomento «Perché Boffo non è stato reintegrato?», si parla dei cattolici che, contro ogni evidenza, vollero credere alle accuse del «Giornale». Ritengo che vada fatta una fondamentale precisazione. «Il Giornale» pubblicò sostanzialmente due notizie, corredandole da documentazione, e cioè il decreto di condanna del Dr. Boffo, da parte del Tribunale di Terni, nell’anno 2004, per il reato di cui all’art. 660 del codice penale, e un documento che tacciava Boffo di essere un «omosessuale attenzionato». Il primo documento è vero e reale, non mi risulta sia stato messo in dubbio da alcuno, e riguarda una condanna per «molestia o disturbo alle persone». Il secondo si è rivelato una enorme patacca ed è su questo che Feltri ha dovuto fare ammenda e chiedere scusa, avendo ripetutamente accusato di omosessualità il Dr. Boffo sulla base di una informativa inesistente o falsa. Occorre pertanto distinguere fra accuse vere e documentate ed accuse artefatte o comunque false. Resta tuttavia il grande mistero sui motivi che portarono Boffo al patteggiamento e alla condanna: Come è possibile che abbia commesso un tale reato e in una forma particolarmente grave? Perché ha patteggiato? Perché non ha offerto la sua documentazione ai giornali?

Marcello BardottiBarberino Val d’Elsa

Dei due documenti (sempre che la patacca possa definirsi documento), lei, caro Bardotti, ha ragione. Mentre non è vero quello che scrive alla fine. Nel senso che c’è un decreto penale di condanna, emesso nel 2004 dal Tribunale di Terni, nei confronti di Dino Boffo per molestie telefoniche verso una giovane del posto, ma non c’è stato nessun patteggiamento, anche perché non c’è stato nessun processo. Boffo ha semplicemente rinunciato a presentare opposizione al provvedimento pensando che la vicenda si sarebbe chiusa così senza bisogno di trascinarla oltre nel tempo e nelle aule giudiziarie.

In questo, forse, è stato un po’ incauto. Probabilmente sarebbe stato meglio andare fino in fondo. Ma non è certo un’ammissione di colpa. Lo stesso giudice per le indagini preliminari, nel consegnare a suo tempo il documento ai giornalisti, confermò che «il diretto interessato aveva sempre contestato qualsiasi addebito nei suoi confronti». Il patteggiamento non c’è stato anche perché l’ex direttore di «Avvenire» considerò a lungo la questione giudiziaria ternana senza sostanziale importanza, soprattutto dopo il ritiro della querela da parte delle persone interessate, tanto che in occasione della ricezione del decreto penale di condanna non si rivolse nemmeno ad un legale. Lo ritenne sostanzialmente privo di particolari effetti proprio in conseguenza alla remissione della querela. Dopo di che, una volta creato il «caso», Boffo non ha voluto consegnare niente e nessuno al «tritacarne mediatico».

Andrea Fagioli