Lettere in redazione

L’unità d’Italia in chiave toscana

Caro direttore, uso di proposito una frase solenne e scrivo che avverto il dovere di ricordare su «Toscana Oggi» tanti uomini e donne che hanno contribuito a unificare l’Italia considerata come un popolo con una sola lingua, un’identica cultura, un’omogenea coscienza morale fondata su identici principi e istituti giuridici. Sarò più chiaro con gli esempi. Per cominciare da un tempo abbastanza prossimo a quell’età che i libri di scuola chiamano «Risorgimento» (e lo è davvero per molti aspetti) inizio l’elenco con don Ludovico Muratori, sacerdote e parroco emiliano. Indicò nel progresso culturale nell’educazione scolastica e anche tecnica della «povera» gente la vera e solida strada per ottenere migliori e più libere condizioni di vita. Per «povera gente» non intendeva gli indigenti ma tutti coloro che nelle campagne e nelle città non avevano le conoscenze culturali e tecniche per rinnovare quelle condizioni nelle quali vivevano ormai da secoli.

Poi penso a Cesare Beccaria che da grande giurista indicò per primo l’abolizione della pena di morte e sentenze rapide e giuste come strumento necessario per debellare il crimine e la violenza. Pietro Leopoldo di Lorena comprese per primo la lezione e con l’abolizione della pena capitale dette alla Toscana un primato nel mondo. Può sorprendere ma anche Napoleone ha contribuito all’unità, non certo per le sue tragiche conquiste ma con la diffusione di quel «Codice civile» scritto sulla guida di quello di Giustiniano che ancora oggi regola con i suoi principi fondamentali la vita di tutti noi e dei paesi più evoluti del mondo. In quel libro ci sono il riconoscimento della libertà individuale di ogni uomo e di ogni donna, il riconoscimento della famiglia come base della società.

In Toscana ci furono altre figure memorabili. Ferdinando III di Lorena, il granduca pacifista anche ai tempi di Napoleone, vide nella «guerra delle acque» il più civile impegno per bonificare la Maremma e per il quale era giusto dare anche la vita. Lui stesso morì di malaria. Ecco i grandi scrittori che unificarono l’Italia: Alessandro Manzoni, Silvio Pellico, ma anche Francesco Guerrazzi che inizia il suo «Assedio di Firenze» con una frase che ricorda «L’imitazione di Cristo» e rese voglia di dignità a tutti i toscani. La citazione dei grandi educatori può continuare con san Giovanni Bosco per la sua «Storia d’Italia».

Qua l’elenco ci porterebbe a citare tante altri fondatori di scuole, glorie dell’Ottocento italiano, ma desidero un po’ a sorpresa ricordare «Mamma Lapini», la fondatrice della scuola della Fantina per le ragazze del popolo, una delle prime a dedicarsi all’educazione femminile di tutti i ceti. Oggi la Toscana ha riconosciuto che anche Leopoldo II in vari modi contribuì al Risorgimento (basterebbe la pur temporanea concessione della bandiera tricolore).e l’istituzione di quella «Guardia civica» che restituì al popolo il compito di darsi una disciplina. Chiudo col ricordo di un giovane giornalista toscano, Giosuè Borsi. Alla vigilia della prima guerra mondiale si convertì a una vera adesione al Vangelo ed ebbe il coraggio di scrivere «la guerra è un’empietà». Ma quando l’Italia entrò in guerra volle condividere la sorte dei suoi coetanei e morì alla prima uscita dalla trincea per fare scudo ai suoi uomini. Tra le poche sue reliquie fu ritrovato un piccolo Vangelo insanguinato e una pagina ne fu vista sulla scrivania di don Giulio Facibeni. Ricordo Giosuè Borsi perché morì in quella che è considerata l’ultima guerra del Risorgimento.

Nereo Liverani

Ringrazio l’amico e collega Nereo Liverani per questa rapida e interessante carrellata sull’unità d’Italia in chiave toscana. Questo 150° mi sembra stia offrendo opportunità inaspettate e non solo squallide polemiche di parte (di cui, dopo l’editoriale della scorsa settimana, si torna a dare conto nell’intervento qui accanto). Anche il dibattito avviato su questo giornale dallo storico Franco Cardini (che prosegue questa settimana alle pagine 12 e 13 con la risposta ad una lettera), al di là di qualche tono un po’ acceso, va nella direzione di una riflessione e – perché no? – di una rilettura della storia contemporanea senza pregiudizi. Del resto chi avrebbe mai immaginato che sarebbe toccato a Roberto Benigni fare l’esegesi e ridare dignità a un inno nazionale che molti di noi avevano imparato a deridere (per non dire peggio) proprio sui banchi di scuola? Anzi, all’elenco di Liverani possiamo ora aggiungere con orgoglio il toscanissimo Benigni tra coloro che hanno contribuito a unificare, o meglio: a riunificare l’Italia.

Andrea Fagioli