Lettere in redazione
«Quando io scrissi a La Repubblica…»
Gentile direttore, nella sua risposta sul suicidio assistito («Suicidio assistito», giornali e valori) lei si pone alcune domande riguardo il quotidiano «La Repubblica» ed una delle sue rubriche, quella del giornalista Corrado Augias. Ciò che lei dice mi ha mandato indietro nel tempo, ad alcuni anni fa, al periodo della campagna sul referendum per la Legge 40. A quell’epoca ebbi uno scambio epistolare (con la posta elettronica) con Augias, che conoscevo ed ammiravo fin da ragazzina per aver seguito la famosa trasmissione «Telefono giallo».
Al tempo del referendum ero invece ormai adulta e mi sentivo tristemente «parte in causa» in quanto da quasi dieci anni io e mio marito cercavamo di avere un figlio, senza riuscirci. Ad oggi la situazione è ancora tale e i margini per una gravidanza si riducono di mese in mese. La prospettiva della fecondazione assistita poteva essere una «soluzione» al nostro desiderio? Scrissi ad Augias, perché «La Repubblica» entrava in casa nostra, essendo il quotidiano letto da mio marito. Anche io, scorrendo i titoli e qualche articolo di interesse, vi assistevo alla campagna referendaria. Scrissi ad Augias, che dava le proprie opinioni anche sulla fecondazione assistita, per far sentire la mia voce. Il giornalista mi rispose, ma solo privatamente. Non ha mai pubblicato le lettere che gli inviavo. eppure mi rispondeva, e ciascuno di noi due argomentava le proprie idee.
Quindi non credo che ciò che scrivevo mancasse di interesse. Ma forse ero una voce scomoda. Le mie opinioni non coincidevano con la visione di Augias, e forse tanto è bastato per escludermi dalla sua rubrica. Anche io, già da allora, cominciai a pormi gli stessi interrogativi che lei, direttore, si chiede oggi. Augias non capiva la posizione del Magistero; io gliela spiegavo, perchè la vivevo sulla mia pelle. Ma mi sono convinta che Augias e il suo giornale fossero interessati più alla polemica che al voler capire i vissuti e le opinioni altrui. Posi fine allo scambio epistolare con Augias, capendo che non si trattava di una vero dialogo. Da allora ho assistito a molti «attacchi» verso la Chiesa ma ormai avevo capito che i giudizi di quel giornale non potevano essere il frutto di un confronto leale. Ho toccato con mano la rigidità dell’ideologia e il potere arrogante di chi fa informazione.
Non so se lei sceglierà di pubblicare queste righe. Io ci tenevo a dirle la mia esperienza perché ha a che fare con gli interrogativi che lei ha posto. Nel caso in cui decidesse di pubblicarla la pregherei di omettere il mio nome e cognome. Cordiali saluti e grazie per la correttezza del suo giornale, cui sono abbonata ormai da anni.
Carissima amica, la considero tale in quanto «abbonata ormai da anni», ma anche per l’apprezzamento nei confronti del giornale e per la sua testimonianza. Quindi non solo pubblico la sua lettera più che volentieri (rispettando la richiesta dell’anonimato), ma sono io a ringraziarla sinceramente e sentitamente lasciandole la parola senza aggiungere niente: non ce n’è bisogno.
Andrea Fagioli