Lettere in redazione
Cosa avrebbe fatto La Pira con questa crisi?
Sono sempre più frequenti le trasmissioni televisive ove si mostra il lato duro della crisi: la disoccupazione improvvisa di chi ha famiglia e mutuo da pagare. Mi domando cosa sarebbe successo se ci fosse stato Giorgio La Pira; avrebbe rivoltato il mondo. La cruda realtà obbliga, comunque, i cattolici a guardarsi l’un l’altro per dare respiro alle famiglie improvvisamente divenute indigenti e senza futuro per i figli a causa della disoccupazione al momento irreversibile. Forse il mondo cattolico potrebbe costituire dei fondi comuni di investimento immobiliari per fare una mossa che desse respiro alle famiglie e cioè ricomprasse le case gravate da mutuo (ad un prezzo equo) e le restituisse in locazione (con canone ragionevole) a chi ci abita finché gli inquilini non saranno in grado, se vorranno, di ricomprarsi la casa. In questa maniera la gente non avrebbe il terrore di farsi buttar fuori di casa. Dall’altro lato le banche, rimborsate dei mutui, recupererebbero liquidità da poter reinvestire nelle aziende che hanno bisogno di credito per dare occupazione.
La sottoscrizione del fondo immobiliare potrebbe venire attraverso la rete delle parrocchie, delle banche, del volontariato. Potrebbe essere impiegato parte dell’otto per mille ed altro a fantasia. I sottoscrittori non sarebbero sicuri di avere un profitto dalla sottoscrizione del fondo, ma la carità è anche gratuita. Una piccola parte di rischio bisogna averla. Non è facile mettere in piedi un macchina del genere se la disoccupazione dilagasse alla grande, ma almeno inizialmente servirebbe per tamponare tanti casi disperati incipienti. Da cosa nasce cosa.
Ovviamente nessuno può dire cosa avrebbe fatto La Pira. Quello che sappiamo è che durante tutta la sua vita ha cercato di dare risposte alle «Attese delle povera gente», per citare il titolo di un suo pamphlet. E certamente avrebbe appoggiato l’iniziativa di un fondo comune che aiutasse le famiglie che rischiano di perdere la loro casa perché non riescono più a pagare il mutuo. Ricordiamoci che alla fine dell’800, nel clima della «Rerum novarum», il movimento cattolico, nonostante non partecipasse ancora attivamente alla vita politica del Paese, dopo lo «strappo» di Porta Pia, seppe inventarsi le Casse rurali e artigiane, per togliere contadini e lavoratori dalle mani degli usurai e dar loro la possibilità di accedere al credito. È del 1883 la prima Cassa rurale a Loreggia, in provincia di Padova. Cinque anni più tardi, nonostante lo scetticismo dell’establishment si costituì la «Federazione fra le Casse rurali e Sodalizi affini», cui aderirono 51 Casse rurali. Nel 1905 ce n’erano già 1.386 e alla fine del 1920 il numero era salito a 3.347. Ancora oggi le Banche di credito cooperativo (adesso si chiamano così) svolgono la loro missione.
Oggi, di fronte alla grave crisi economica, molte diocesi si sono mobilitate, dando vita a fondi di solidarietà per chi ha perso il lavoro e a tante altre iniziative, tra cui anche a forme di «micro-credito». Ma non dobbiamo aspettarci che tutto venga dall’«alto». Questo è un campo tipicamente «laicale». Quindi diamoci da fare tutti!
Claudio Turrini