Opinioni & Commenti

Ora di religione, un’occasione unica per formarsi e riflettere sul proprio futuro

Quando entro in classe all’inizio dell’anno scolastico e incontro per la prima volta i miei alunni esordisco sempre con la solita, provocatoria domanda: «Ma chi ve l’ha fatto fare? Siete sicuri che valga la pena di rimanere a scuola per l’ora di religione?». Magari alla sesta ora di una faticosa mattinata di lezione, quando tutti gli altri se ne vanno a casa in anticipo.

La risposta sta però nelle parole che più di una volta mi sento ripetere a giugno, quando ci salutiamo prima delle vacanze estive: «Prof, la sua è stata l’ora più interessante e più utile dell’intero scolastico!». È questa la grande consolazione che cancella tanti dubbi e fatiche. Di sicuro, pur in mezzo a difficoltà, ambiguità organizzative e contraddizioni da sempre irrisolte, quest’ora mantiene intatto, a distanza di 35 anni dalla sua ultima riforma, tutto il suo fascino. Un’ora nella quale trovano spazio le domande – e soprattutto le risposte – alle fatiche, alle passioni, agli entusiasmi, alle speranze e ai sogni, ma anche alle delusioni e alle sconfitte, dei nostri giovani.

Se leggiamo con ironia e superficialità il loro mondo, può sembrare che questa sia l’età della spensieratezza, della libertà. In realtà il passaggio tra l’adolescenza e la maturità è per un giovane il momento forse più difficile e complicato della vita, pieno di ansie, di preoccupazioni, di richieste di aiuto. Proprio come ci ricordava lo scrittore esistenzialista Paul Nizan con le sue terribili parole: «Avevo vent’anni, non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita».

I giovani hanno sempre più bisogno di raccontarsi, di parlare di se stessi e di tutto ciò che si agita dentro di loro. Per non lasciarsi prendere da paure, ansie o dipendenze. Per scegliere di non essere disattenti: nelle relazioni e negli affetti, nella comprensione di se stessi, degli altri e del mondo. Perché, altrimenti, paura, noia e rinuncia hanno la meglio. Per crescere è, viceversa, necessario tendere. Cercare, chiedere, domandarsi. Cercare e dare senso alla propria vita. Proprio per non fare come nella Storia infinita di Michael Ende: aspettare, senza più speranza e immaginazione, che proprio il nulla alla fine li divori.

Ecco che allora frequentare l’ora di religione significa approfittare di un’occasione unica per riflettere sul proprio futuro, per aggiungere un tassello a una formazione, quella scolastica, che rischia di essere talvolta carente proprio in uno dei suoi aspetti fondamentali: quello orientativo. Per cercare di acquisire sempre maggiore conoscenza di sé e consapevolezza della propria identità di fronte al contesto sociale, così da sviluppare un progetto di vita personale e motivare le proprie scelte future: «Che cosa devo fare nella – e della – mia vita? Qual è la mia vocazione?».

E in questa ricerca, che parte appunto dalle proprie esperienze personali e di relazione con gli altri, avere alla fine la possibilità di confrontarsi con le risposte offerte dalla religione – e nello specifico di quella cristiano-cattolica – alla formazione dell’uomo e allo sviluppo della cultura, all’interpretazione della realtà, alle più profonde questioni della condizione umana. Individuando anche, sul piano etico-religioso, «le potenzialità e i rischi legati allo sviluppo economico, sociale e ambientale, alla globalizzazione e alla multiculturalità, alle nuove tecnologie e modalità di accesso al sapere».

Insomma: un’ora tutt’altro che inutile… E che forse vale proprio la pena di scegliere di frequentare…